Bonus Investimenti: bersaglio mancato?

Marco FiorentinoRiflessioni di merito e di principio su di una norma che rispetto agli aspetti tecnici più controversi delle precedenti edizioni dello strumento non è stata, di certo, migliorata

 Con l’art. 18 del DL n. 91 del 24 giugno 2014 (Decreto Competitività) il Governo ha introdotto una vecchia conoscenza per le imprese: il bonus fiscale sugli investimenti.

Tale agevolazione si muove nel solco delle tante Leggi Tremonti emanate a far data dal 1994, allo scopo di rilanciare gli acquisti di beni strumentali.
La particolarità è che, stavolta, il beneficio non consiste in una detassazione degli investimenti, ma fa maturare direttamente un credito d’imposta pari al 15% dell’ammontare dei sovrainvestimenti.
Il credito d’imposta riguarda tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa, che effettueranno investimenti in beni strumentali nuovi, compresi nella divisione 28 della tabella ATECO 2007, con esclusione dei beni rientranti nelle altre categorie e dei beni immateriali e degli immobili.
Godranno del bonus fiscale tutti i beni acquistati a partire dal 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto) fino al 30 giugno 2015, il cui costo unitario non sia inferiore ad euro 10.000.
 

 

Trattandosi di una agevolazione del tutto sovrapponibile alle Leggi Tremonti, devono ritenersi valide, ove applicabili, tutte le istruzioni fornite dall’AGE al riguardo.

In particolare, si ritiene che possano essere confermati i chiarimenti contenuti nella circolare n. 44/2009 e quindi ai fini del bonus, rilevano i beni compresi nella divisione 28 (macchinari e apparecchiature che intervengono meccanicamente o termicamente sui materiali e sui processi produttivi), indipendentemente dal fatto che l’impresa abbia o meno un codice attività appartenente a tale divisione.

Inoltre, sono agevolabili anche quegli acquisti che, sebbene siano singolarmente classificabili in altre categorie, siano al contempo asserviti o di supporto indispensabile ad un bene categoria 28.
Venendo alle differenziazioni, il credito d’imposta riconosciuto è pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati negli ultimi 5 anni, ma, allo scopo di rafforzarne l’incisività, viene concesso di escludere dal calcolo della media il periodo pregresso in cui l’investimento sia stato maggiore.

Per le imprese con meno di cinque anni, la media aritmetica ovviamente dovrà tener conto dei soli anni disponibili, sempre con la facoltà di escludere il periodo (che può essere anche l’unico periodo precedente) in cui l’investimento sia stato maggiore. Ne consegue che, per le imprese che sorgeranno dopo il 25 giugno 2014, l’ammontare agevolato sarà esattamente pari all’importo degli investimenti effettuati.
Sembrerebbe inoltre, da una prima lettura, che, a differenza delle versioni “Tremonti”, dall’ammontare degli investimenti non debbano essere sottratti i disinvestimenti del periodo, ma sul tema appare prudente attendere una presa di posizione ufficiale dell’AGE.
Il credito d’imposta può essere usato solo in compensazione, ma in tre quote annuali di pari importo e la prima quota sarà utilizzabile solo dal 1° gennaio del secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’investimento. Ciò significa che il credito maturato nel 2014 potrà essere compensato in tre tranches annuali a partire dal 1° gennaio 2016.
Il beneficio fiscale non concorre alla formazione del reddito d’impresa, né della base imponibile Irap, e deve essere inserito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta del suo riconoscimento ed in quelle dei periodi nei quali è utilizzato in compensazione.
Infine, per le solite esigenze antielusive, l’incentivo viene revocato, con l’obbligo della conseguente restituzione – maggiorato di interessi e sanzioni – qualora i beni siano ceduti o destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa prima del secondo periodo d’imposta successivo all’acquisto, o collocati in strutture produttive estere prima dello spirare degli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice dell’AGE.
 

 

La norma è abbastanza semplice e, soprattutto, ben conosciuta e non si può dire certo che non sia finalizzata alla crescita.
Tuttavia essa impone due gruppi di riflessioni, di merito e di principio.
Nel merito del meccanismo di utilizzo, il passaggio da detassazione a credito d’imposta non è neutrale.
Innanzitutto, perché in questo passaggio, il vantaggio fiscale scende dal 27.5 % (IRES risparmiata nel caso di detassazione) al 15%. Oltre 12 punti in meno. Detta in altri termini, quasi il 50% in meno.
Inoltre, la detassazione consentiva di beneficiare del risparmio fiscale con un anno di anticipo rispetto al momento nel quale il credito d’imposta in specie diviene compensabile.
Infine, con le vecchie “Tremonti” si poteva abbattere il reddito per l’intero ammontare del beneficio maturato nell’anno, mentre l’utilizzo del credito d’imposta deve avvenire necessariamente in tre esercizi, allontanando pericolosamente il momento di incasso del bonus dalla decisione (rischiosa) di investire. E questa circostanza, per chi conosce bene gli imprenditori, non è assolutamente irrilevante, anzi.
Non solo, con il meccanismo della detassazione, l’eventuale perdita fiscale inutilizzata, in ambito consolidato fiscale, poteva essere utilizzata da altra società consolidata, ottimizzando quindi la fiscalità di gruppo, mentre, almeno allo stato attuale delle interpretazioni, uguale possibilità non è prevista per il credito d’imposta.

Di contro, l’unico vantaggio vero del credito d’imposta è solo ed esclusivamente la compensabilità con altre imposte, ma occorrerà attendere prudentemente le istruzioni per capirne l’effettività. Basterà?
Nel merito invece degli investimenti agevolabili, non si comprende perché si è ritenuto di escludere i beni di valore unitario inferiore ad euro 10.000. Credo non sia sfuggito che, così facendo, ad essere (ancora una volta) penalizzate saranno le micro e le piccole imprese. E poi già mi immagino quanta confusione si genererà per definire il concetto di valore unitario, dinanzi soprattutto a beni compositi od assemblati. Non ha senso e provocherà contenzioso.
E pensare che, data la tanta esperienza fatta con le vecchie “Tremonti”, con la nuova norma sarebbe stato lecito attendersi addirittura dei miglioramenti sugli aspetti tecnici più controversi delle precedenti edizioni del bonus.
Mi riferisco innanzitutto al famigerato codice ATECO 28. Non si capisce perché si continui a limitare la fruizione del bonus solo a tale categoria merceologica. L’effetto di tale scelta si era già constatato: penalizzazione degli altri codici di investimento e grandi complicazioni amministrative nelle attività di separazione delle tipologie di beni (con annessi rischi fiscali), senza parlare delle incertezze sui beni composti da altri beni di altra categoria. Sarebbe stato meglio ragionare al contrario, secondo regole “anglosassoni”: tutti gli investimenti sono ammessi tranne quelli espressamente esclusi.
Appare pure sbagliato riproporre lo schema dell’agevolazione sul solo sovrainvestimento. Paradossalmente, si favorisce chi finora non ha avuto il coraggio di rischiare a danno di chi, nonostante la crisi e tutto il resto, ha ritenuto di dover continuare a migliorarsi.
 

 

Qualche considerazione finale di principio. Il comma 9 dell’articolo 18 prevede per il bonus in oggetto un onere per lo Stato di circa 200milioni di euro annui per i prossimi 4 anni. Ma veramente pensiamo di far ripartire gli investimenti delle imprese con stanziamenti pari allo 0.01% del PIL? Un gruppo consiliare costa di più.
E poi, è giunto anche il momento di dire che norme agevolative che durano poco più di 12 mesi appaiono ricomprese tra il velleitario e l’inutile, perché così non si riesce a radicare un ciclo di crescita, una domanda costante.
Il ciclo di rinnovo degli investimenti si consolida certo anche con altri interventi, ma questa agevolazione, se migliorata e introdotta stabilmente con stanziamenti non figurativi, potrebbe recitare una parte veramente rilevante in tale progetto.
Ma questa considerazione per quanto ovvia, sembra difficile da far comprendere.