Per ovviare a complicazioni bilancistiche, è necessario che il controllo di gestione funzioni alla perfezione
Nell’ambito delle operazioni di finanziamento bancario a medio-lungo termine, è sempre più diffusa la previsione da parte degli istituti finanziatori di particolari clausole, tendenti ad assicurare loro un monitoraggio continuo delle condizioni patrimoniali, finanziarie ed economiche del debitore, ad ovvia tutela del rischio del credito, di natura sostanzialmente quantitativa, denominate comunemente “covenant”.
Con i covenant, i finanziatori pongono condizioni e limiti alla gestione dell’impresa debitrice, anche attraverso precisi parametri numerici da rispettare nei bilanci (anche infrannuali), così da garantirsi un possibile andamento virtuoso delle sue attività, ma soprattutto da consentire una pronta emersione di situazioni di difficoltà e quindi eventuali interventi tempestivi di protezione dal default.
La violazione (il “breach”) del covenant, infatti, determina sempre (salvo sanatoria) la perdita del beneficio del termine da parte del debitore e quindi, nella sostanza, un’accelerazione del rimborso del debito. La best practice finanziaria ha elaborato innumerevoli tipi di covenant, che vengono applicati anche tenendo conto del tipo di operazione, delle garanzie esistenti, dell’ammontare del prestito, del rating del debitore e così via.
Rimanendo nell’ambito dei covenant di natura prettamente quantitativa, una classificazione più o meno esauriente prevede covenant patrimoniali, finanziari, economici e misti, rappresentati da specifici indici di bilancio abbastanza conosciuti nella pratica professionale. I più frequenti sono: il rapporto mezzi propri-mezzi di terzi, il cc.dd. “DSCR” che esprime il grado di copertura del servizio del debito coi flussi operativi, il rapporto tra oneri finanziari e fatturato, il rapporto tra posizione finanziaria netta ed Ebitda, e così via.
La verifica del rispetto dei covenant previsti nei contratti viene effettuata principalmente con riferimento ai dati di bilancio al 31 dicembre e talvolta – in base alla complessità dell’operazione di finanziamento – anche al 30 giugno (semestrale) o persino su base trimestrale, attraverso idonei reporting dell’impresa, opportunamente “bollinati” da una società di revisione.
Queste “sentinelle del debito” sono molto importanti nell’economia complessiva del rapporto finanziario, in quanto, come accennato, la loro “rottura” determina, molto spesso automaticamente, l’obbligo di rimborso anticipato del debito residuo.
Naturalmente, salvo i casi di crisi già conclamate, non è infrequente che dinanzi alla rottura di uno o più covenant sia il finanziatore stesso ad agevolarne la composizione dietro il pagamento di una fee, attraverso specifici atti di rinuncia (waiver) alla clausola infranta, ovvero accordi di posponimento dell’adempimento e similari, in quanto tali rimedi si presentano di gran lunga preferibili ad un default.
Tuttavia, nella pratica si è constatato che la sanatoria da parte del finanziatore spesso avviene molto tempo dopo la data di riferimento del report periodico e talvolta essa viene concepita come mero rinvio breve del ricalcolo.
È evidente, però, che questi sistematici ritardi nella eventuale composizione possono determinare rilevanti conseguenze sull’approccio valutativo in bilancio (annuale o semestrale).
L’impresa infatti si trova a dover decidere come trattare nel suo bilancio la passività divenuta immediatamente esigibile, per effetto della violazione del covenant non ancora sanata.
Tale considerazione rileva non solo ai fini della classificazione in bilancio del debito (passività corrente o non corrente), ma anche sul suo profilo di continuità.
Per quanto concerne il primo aspetto, sulla base delle indicazioni dello IAS 1, l’IFRIC è intervenuta di recente dando precise indicazioni su come classificare in bilancio una passività a lungo termine soggetta a covenant, nei vari scenari possibili.
In sintesi, se il covenant non è rispettato alla data di chiusura di bilancio e, nelle more della sua approvazione, non sia giunta una sanatoria per almeno 12 mesi, la inerente passività deve essere considerata corrente.
Ugualmente occorre procedere alla riclassifica in passività corrente, nel caso di covenant su base semestrale, quando al 31 dicembre il parametro sia rispettato, ma gli amministratori prevedono che non sarà rispettato al 30 giugno successivo (mancanza dei 12 mesi continuativi).
Per quanto concerne il secondo aspetto, non v’è dubbio che una passività differita che sia divenuta corrente e peraltro immediatamente esigibile, comporti l’obbligo da parte degli amministratori di verificare se questo evento incida o meno sul profilo di continuità dell’impresa.
Esercizio non agile, soprattutto in quei casi in cui la violazione del covenant non sia accompagnata dal mancato pagamento di rate del finanziamento in scadenza, poiché è ben difficile che l’accelerazione del rimborso di un debito a medio-lungo termine, possa non avere effetti sull’equilibrio finanziario dell’impresa e quindi sulla sua continuità.
Gli amministratori, infatti, devono districarsi, tra pieno rispetto del piano di pagamento del debito da un lato e contestuale formale accelerazione del suo rimborso per violazione di covenant dall’altro.
Nella pratica si è visto che una tale dicotomia talvolta viene risolta con una loro attestazione, dove essi in sintesi dichiarano di essere confidenti di ottenere dal creditore la tempestiva “sanatoria”.
Questa attestazione tuttavia, se consente loro di poter conservare il profilo di continuità nella redazione del bilancio, al contempo però rende inevitabile la sua segnalazione nella relazione del soggetto preposto al controllo legali dei conti e l’assunzione di responsabilità personali. Quindi, effetti non poco significativi.
Il giudizio che si può trarre è che in operazioni di finanziamento, che prevedano queste tipologie di condizioni, essenziale si presenta la tempestività.
Tempestività nel monitoraggio dell’andamento degli indici dei covenant, così da poter adottare tutte le iniziative necessarie per scongiurare il loro sforamento nel report periodico e tempestività anche nell’avviare le procedure di segnalazione agli istituti, ben prima della scadenza di riferimento, in modo da evitare che un ritardato processo di sanatoria possa determinare le complicazioni bilancistiche sopra evidenziate.
Insomma, il controllo di gestione deve funzionare.