Per l’amministratore delegato della società di gestione dello scalo aeroportuale di Capodichino comincia a emergere una consapevolezza più profonda di quanto sia premiante il fare insieme piuttosto che da soli: «Per migliori risultati e per crescere tutti, meglio sposare la cultura dell’integrazione»
Dopo Roma e Bologna, da quattro anni lei dirige lo scalo aeroportuale di Napoli. Com’è Capodichino oggi dopo la cura Brunini?
L’aeroporto godeva di buona salute già prima che io arrivassi. Tra il 2010 e il 2012, infatti, erano stati completati i lavori di riqualificazione e ampliamento della struttura. A me è spettato quindi proseguire l’opera. Ho trovato un bel contenitore da riempire di contenuti, puntando sullo sviluppo del traffico e delle attività commerciali. Come misurato dalle performance, il gradimento per Capodochino – monitorato con protocolli internazionali – oggi è ottimo grazie a un proficuo ed efficace lavoro di staffetta.
Lei ha capito prima di altri, specie di alcune compagnie aeree, che la domanda interna avrebbe perso terreno a causa dell’Alta Velocità che ha spostato i traffici dai cieli al treno e, in qualche modo, ha virato…
In realtà l’analisi è stata facile. Il calo del traffico domestico era evidente proprio per il trasferimento modale dall’aereo al ferro. Altrettanto chiaro era poi il grande potenziale di crescita che lo scalo napoletano aveva rispetto all’incoming internazionale. È bastato fare due conti e lavorare su questo aspetto. Abbiamo spinto molto sul marketing verso le compagine aeree, valorizzando il patrimonio turistico e insistendo sugli accordi commerciali. Prima del mio arrivo, Capodichino aveva 50 rotte; attualmente ne ha più di 90 e quasi tutte sono internazionali. L’accelerazione indubbia ci consente oggi di crescere molto più della media degli altri aeroporti italiani.
Ha funzionato la sua strategia non attendista…
Sì, il marketing – come dicevo – è stato attivo, con il plus di avere un buon prodotto da vendere. Se è vero infatti che gli aeroporti sono importanti per il territorio, lo è altrettanto il contrario. In ragione di questo, da qualche anno siamo sempre più impegnati a stimolare anche gli altri attori della filiera turistica a fare bene, ciascuno per la propria parte, così da creare una maggiore attrattività dei territorio nel suo complesso. È un processo lungo e faticoso, ma cominciano a intravedersi i primi buoni risultati.
La nostra principale attività è senz’altro quella di dialogare con le compagnie aeree ma, collateralmente, facciamo la nostra parte all’interno della più ampia filiera di trasporti e turismo perché l’intero territorio deve “tirare” se vogliamo che i voli siano riempiti.
E la risposta è di segno positivo?
Ci è voluto del tempo per migliorare le sensibilità, ma oggi è un’onda che sta montando. Per la prima volta nella sua storia, ad esempio, il Comune di Napoli si è dotato di un piano strategico del turismo. La nostra è una sorta di azione di moral suasion sulle altre istituzioni e, finalmente, comincia ad emerge una consapevolezza più profonda di quanto sia premiante il fare insieme piuttosto che da soli. I segnali sono chiari: per migliori risultati e per crescere tutti, meglio sposare la cultura dell’integrazione.
Ha già puntato tanto sui servizi commerciali dentro l’aeroporto. Prima di altri pensa anche di pianificare, o lo ha già fatto, investimenti in servizi mobile per i passeggeri e in processi self-service?
Quello dell’innovazione è un percorso molto ben avviato a Capodichino. Già un paio di anni fa abbiamo previsto una figura professionale dedicata, che indirizzi l’innovazione in modo trasversale. I processi di self service riguardo alle operazioni di check-in sono già ampiamente rodati. Al momento, però, stiamo sperimentando il servizio di self bag drop per la consegna automatica del bagaglio da stiva. In questo modo, anche i viaggiatori che devono imbarcare il bagaglio possono effettuare il check-in “digitale” e poi depositare le valigie in pochi secondi, in autonomia e senza dover attendere che si liberi un banco accettazione.
Se il test di utilizzo e gradimento sarà positivo, senz’altro amplieremo il servizio. Un’altra grande innovazione in elaborazione – forse entro quest’anno ci sarà una prima verifica – è la single registration, ovvero il passeggero, nel suo primo momento di contatto in aeroporto,associa la sua carta di imbarco ad alcuni suoi tratti somatici.
Da allora in poi, ogni volta che si presenterà l’esigenza di mostrare la carta di imbarco per controlli, il riconoscimento sarà automatico. La nostra relazione con il passeggero deve diventare sempre più efficiente e digitale. La rotta da seguire è questa.
Chi è il passeggero che sceglie Napoli per i propri spostamenti aerei?
Sempre più un passeggero internazionale. Dieci anni fa, come detto, il nostro era un traffico per lo più domestico, con flussi nord/sud dettati da ragioni lavorative o familiari. Oggi, invece, la maggioranza dei flussi è internazionale. È il segmento che cresce di più, tra il 15 e il 20% in aumento ogni anno. Per quanto attiene, invece, al bacino di utenza la città capoluogo è in testa, ma molti passeggeri provengono anche dalle altre aeree regionali e da territori limitrofi.
Dopo Ryanair sono previste nuove rotte?
Easyjet è il nostro principale vettore low cost, con una gestione – in crescita – di quasi un terzo del mercato. Da marzo 2017 anche Ryanair è operativa nel nostro aeroporto. È come se avessimo messo al nostro scalo un motore biturbo che, ragionevolmente, ci farà crescere ancora di più.
E la Emirates a Napoli? Trattative in vista?
Al momento è opportuno restare con i piedi per terra. Ad oggi, l’unico nostro volo intercontinentale è quello estivo per New York. In compenso siamo consapevoli di essere molto ben collegati con l’Europa, nei suoi punti primari e secondari. Il nostro ruolo primario è questo. Ciò non toglie che avere un collegamento con il Golfo, sia per i traffici commerciali, sia per una più facile comunicazione con tutto l’est del mondo, è una sfida che siamo pronti a cogliere e per cui ci stiamo impegnando. L’obiettivo è di avere almeno un vettore del Golfo a Napoli entro i prossimi tre anni. Un’operazione non semplicissima perché il traffico con questi Paesi non è liberalizzato, ma si realizza tramite accordi complicati con i Paesi stessi.
Qual è la sua vision sul sistema aeroportuale campano?
Oggi che i volumi sono sufficienti e il trend turistico in crescita, credo ci siano le condizioni per parlare di sistema aeroportuale campano. Ovviamente tali volumi non solo devono ancor più essere incrementati nel tempo, ma distribuiti su due scali con un posizionamento complementare, senza sovrapposizioni. La gestione dovrà essere accorta, integrata e intelligente. Del resto è questa l’indicazione del governo. Insieme per essere più forti – e non più deboli – nei confronti delle compagnie aeree. Tutti e due gli scali hanno potenzialità e possibilità di crescita, contribuendo entrambi a incrementare il traffico nella nostra regione. Da parte nostra c’è la massima apertura e collaborazione, purché ci si muova con logiche industriali sostenibili che valorizzino il nostro immenso potenziale, spesso penalizzato dalla frammentazione e dalla voglia di giocare da soli di alcuni attori della filiera.
Per metterlo su – il sistema aeroportuale campano – bisogna uscire dall’isolamento. Tutti.