Il commento a una sentenza apripista, prima interpretazione sulla disciplina del decreto sulle tutele crescenti
La Cassazione si è recentemente pronunciata, con la sentenza n. 20540 del 13 ottobre 2015, sull’applicazione dell’art. 1 della legge Fornero del 2012, fornendo una prima interpretazione sulla disciplina introdotta dal D.Lgs. 23 del 2015 – cosiddetto decreto sulle “tutele crescenti” – emanato in attuazione della legge-delega del Jobs Act, n. 183 del 10 novembre 2014.
Il fatto
La Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Giudice di prime cure, accogliendo la domanda di una lavoratrice, dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato dalla
società datrice di lavoro, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro con la condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 18 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, nella misura di dodici mensilità.
Il licenziamento della dipendente era stato determinato dalle sue lamentele nei confronti dell’amministratore delegato, definito “paranoico” e “privo di legame con la realtà”, dalla pretesa di discutere direttamente con l’amministratore delegato, dalla segnalazione ad un dirigente dell’intenzione di quest’ultimo di passare alle dipendenze di altra società e il rifiuto a restituire il telefono portatile aziendale.
La Suprema Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento statuita dalla Corte di Appello di Milano, affermando che «quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di insussistenza del fatto contestato, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione, restando estranea al caso presente la diversa questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta, rispetto alla sanzione espulsiva (Cass. 6 novembre 2014, n. 23669, che si riferisce ad un caso di insussistenza materiale del fatto contestato). In altre parole la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art. 18, quarto comma».
L’irrilevanza giuridica del fatto, per non illiceità o per scarsa importanza, pertanto, equivale alla sua insussistenza materiale, con diritto alla reintegrazione ex art. 18 St. lav. in base sia alla “legge Fornero” sia al decreto “tutele crescenti”, in quanto la suddetta sentenza ne fa riferimento con il richiamo al fatto “materiale”.
Tali principi con ogni probabilità saranno ripresi dalla Suprema Corte anche in riferimento alla nuova disciplina a tutele crescenti del D.Lgs. 23/2015, pur essendo stato specificato che l’insussistenza che dà diritto alla reintegra, esclusivamente per i lavoratori assunti dal marzo 2015, è quella materiale, in essa potranno confluire quelle situazioni che saranno considerate irrilevanti dal punto di vista disciplinare.
Ne deriva, pertanto, che la decisione del licenziamento da parte dell’imprenditore continua a richiedere una gestione del personale molto attenta. La contestazione disciplinare che potrebbe portare al licenziamento deve riportare comportamenti con caratteristiche di inadempimenti contrattuali pacifici e incontrovertibili.