Per uscire dalla crisi, l’economista Marco Cattaneo propone di ricorrere alla “moneta fiscale” con cui i singoli Paesi potrebbero rilanciare le proprie economie senza emettere debito in euro e sostegni da parte della BCE. Il tutto, senza una rottura deflagrante della moneta unica, perché quella fiscale si affiancherebbe all’euro, senza conversioni forzate di stipendi, pensioni, crediti, titoli o altro
Dottor Cattaneo, partiamo dalle ultime mosse di Draghi e della BCE per rilanciare la ripresa economia dell’Eurozona: ABS e Quantitative Easing. Quale delle due – per modalità e finalità – la convince di più?
Nessuna delle due mi convince, purtroppo. Entrambe sono finalizzate a immettere risorse nel sistema bancario e nei mercati finanziari, che non si tradurranno in maggior potere d’acquisto per l’economia produttiva. Stiamo vivendo una profonda crisi di domanda che non è risolvibile in assenza di massicci stimoli di natura keynesiana. Serve un forte sostegno alla spesa, privata (via principalmente minori tasse) e/o pubblica. Le azioni varate dalla BCE non contribuiscono a questo.
L’unica leva attualmente in azione che può dare un contributo apprezzabile all’andamento dell’economia reale nell’Eurozona è la svalutazione del cambio nei confronti del dollaro. Nelle scorse settimane l’euro ha chiuso a 1,12, contro l’1,33 medio del 2014.
Nel caso dell’Italia, questo dà un contributo apprezzabile, anche se parziale perché il nostro interscambio avviene solo per metà nei confronti di paesi al di fuori dell’area euro. Si unisce, peraltro, a un ulteriore vantaggio dovuto al forte calo del prezzo del petrolio. Nei prossimi mesi sarà interessante valutare l’impatto di queste variabili.
Per modificare sostanzialmente il quadro della situazione, comunque, la svalutazione dell’euro dovrebbe essere ancora più accentuata e protrarsi per almeno un paio d’anni.
Fermo restando che i difetti strutturali dell’eurosistema resterebbero irrisolti, e che una pesante sottovalutazione dell’euro non può essere accettata all’infinito dagli USA e dal resto del mondo.
Restando in tema, nella querelle tra Mario Draghi e Angela Merkel da che parte sta e perché?
Per la verità, Angela Merkel non è parte della querelle in quanto rispetta il principio dell’indipendenza della BCE dai governi. Almeno formalmente. La controparte di Draghi in questo dibattito è Jens Weidmann, il capo della Bundesbank. La mia posizione è che, semplicemente, Draghi ha spinto per ABS e QE sperando che svolgano un’azione di stimolo dell’economia mentre Weidmann teme che creino distorsioni e inflazione.
Hanno torto entrambi.
Se le risorse non vengono indirizzate all’economia reale, queste manovre incidono poco o nulla, sia sull’attività produttiva che sull’inflazione.
Lei ritiene che l’Eurozona non sia più sostenibile. Perché? È ormai a fine corsa la sopravvivenza dell’euro?
Con i vincoli che l’eurosistema impone ai bilanci pubblici dei singoli stati, per l’Eurozona è impossibile recuperare i danni prodotti da una crisi economica che dura ormai da più di sei anni. La situazione è risolvibile a livello politico, ma l’intransigenza tedesca non pare attenuarsi. Senza una totale revisione di questi meccanismi di funzionamento, l’Eurozona rimarrà in una situazione di stagnazione ed alta disoccupazione per un periodo di tempo imprecisato. Detto questo, tecnicamente l’euro può sopravvivere perché la BCE può sempre evitare lo scatenarsi di una crisi finanziaria, di un attacco speculativo ai titoli dei paesi in difficoltà, garantendoli (di fatto) grazie alla sua potestà di emettere moneta. Tuttavia, le tensioni sociali e politiche sono in crescita in tutti i paesi periferici dell’Eurozona. É questo che fa dubitare che il sistema sopravviva nella forma attuale.
Se si applicasse il Fiscal Compact quali miglioramenti sarebbero realmente possibili?
Il tentativo di applicare il Fiscal Compact sarebbe un’altra sciagura. Il Fiscal Compact comporta ulteriori politiche restrittive da mettere in atto da parte dei paesi che non riescono a centrare i vincoli di bilancio e di riduzione dei debiti pubblici previsti dall’eurosistema. Azioni di questo tipo inasprirebbero ulteriormente la crisi, senza peraltro fare nulla di positivo per riequilibrare i parametri di finanza pubblica. La caduta di PIL e occupazione, al contrario, peggiorerebbe l’incidenza del debito pubblico sul PIL. In realtà, il Fiscal Compact è un trattato, nei fatti, già decaduto.
Una soluzione per salvare l’Eurozona per lei è il “progetto Moneta Fiscale”. Ci spiega cos’è?
É l’introduzione, da parte di tutti i paesi in difficoltà, di una moneta nazionale utilizzabile per pagare tasse e, in generale, ogni tipo di obbligazione finanziaria verso l’amministrazione pubblica. La Moneta Fiscale può essere utilizzata per aumentare la spesa e per diminuire il carico fiscale che grava sulle varie economie.
Quali sarebbero i vantaggi?
I singoli paesi possono in questo modo rilanciare le loro economie senza emettere debito in euro e senza ricorrere a sostegni da parte della BCE. Le azioni di sostegno della spesa e di riduzione della fiscalità verrebbero attuate emettendo Moneta Fiscale. Ne seguirebbe una rapida ripresa in quanto si risolverebbe l’origine della crisi, la mancanza di potere d’acquisto in circolazione e la conseguente carenza di domanda. Il tutto, senza una rottura deflagrante della moneta unica, perché la Moneta Fiscale si affiancherebbe all’euro, senza conversioni forzate di stipendi, pensioni, crediti, titoli o altro.
Ma questa sua proposta non entra in contrasto con l’attribuzione del monopolio dell’emissione alla BCE?
Il trattato di Maastricht (articolo 105, comma 2) precisa che banconote e monete metalliche possono essere emesse solo dalla BCE, o su sua autorizzazione. Ma la Moneta Fiscale sarebbe costituita da titoli statali e circolerebbe in forma elettronica e dematerializzata: non c’è necessità di emettere monete e banconote. Detto questo, la conformità ai trattati è, paradossalmente, un problema di importanza secondaria, in quanto il sistema dei trattati che governano l’Eurozona (vedi quanto detto sopra per il Fiscal Compact) è ormai, nel suo complesso, inapplicabile.
A marzo la UE dovrà pronunciarsi sulla Legge di Stabilità 2015. C’è da preoccuparsi sul responso anche alla luce dei nuovi meccanismi di valutazione? In ogni caso qual è il suo giudizio su questa finanziaria?
La definirei una “finanziaria di traccheggiamento”. Il governo Renzi ha cercato di evitare un ulteriore inasprimento dei vincoli di bilancio, e tutto il dibattito con la UE riguarda, in effetti, pochi decimi di punto di tagli di spese o di maggiore tassazione che l’Italia forse riuscirà a evitare, o forse no. Meglio il primo caso del secondo, ovviamente, ma la sostanza cambia ben poco. Il 2015 sarà un altro anno senza crescita, con ulteriori fallimenti di aziende e crescita della disoccupazione. L’unica variabile che può modificare questa situazione – tutta ancora da valutare nell’entità, negli impatti e nei tempi di ricaduta, peraltro – è la svalutazione dell’euro.
Quale dovrebbe essere la priorità del Governo italiano?
La revisione completa dell’architettura dell’Eurozona. Da concordare con i partner se è possibile, altrimenti da attuare in modo unilaterale.
Il progetto Moneta Fiscale ha le caratteristiche per essere la strada da percorrere, in quanto non “spacca” la moneta unica ma si pone in affiancamento ad essa, ed è applicabile in modo da conciliare la ripresa dell’economia con la tutela della stabilità finanziaria e dei diritti dei creditori.