Cipolletta: «In Italia paghiamo troppe tasse? Falso!»

INNOCENZO CIPOLLETTA WEBIl Presidente dell’Università di Trento e dell’AIFI Innocenzo Cipolletta condensa qui la sua tesi sul perché esistono troppi luoghi comuni sulla questione tributi nel nostro Paese. «Più che ridurre le imposte – questa la sua teoria – il Paese dovrebbe farle pagare in modo diverso, affinché ci sia più giustizia nel prelievo fiscale e più efficacia nella loro percezione»

Presidente, il suo ultimo libro ha un titolo quanto meno sensazionale: “In Italia paghiamo troppe tasse. Falso!”. La sua non è affatto una provocazione, quanto una verifica empirica di quanto siano errate – a suo avviso – le convinzioni più radicate circa il sistema e il livello di tassazione nel nostro Paese. Vuole raccontarcene qualcuna che ha del clamoroso?    
Il mio libro vuole sfatare alcuni luoghi comuni. Il primo è che paghiamo troppe tasse. In realtà se confrontiamo il rapporto tra entrate pubbliche e PIL del nostro Paese, tale rapporto è vicino alla media europea ed è pari a quanto si paga in paesi a reddito medio eguale al nostro. Ma noi abbiamo la sensazione che paghiamo troppe tasse anche perché chiamiamo tasse pure gli oneri sociali, ossia i contributi che versiamo per avere una pensione in età di vecchiaia. Questi oneri non sono tasse, ma sono un risparmio forzoso che poi ci ritorna come pensione.

 

È opinione diffusa, ad esempio, che eliminando gli sprechi si potrebbe abbassare il livello di imposizione fiscale. Secondo lei però il risparmio non sarebbe poi guadagno se a rimetterci fossero i servizi…
Intendiamoci: se parliamo di veri sprechi e ruberie, allora questi vanno eliminati e non intaccano la spesa per veri servizi. Ma in questo caso ci sarebbe poco spazio per ridurre le tasse perché stiamo parlando (forse) di qualche centinaio di milioni di euro che, se eliminati, non cambiano sostanzialmente il peso del fisco. E di certo vanno eliminati. Se invece per sprechi si intendono parti sostanziali della spesa per servizi pubblici, allora c’è il rischio di degradare servizi rilevanti per i cittadini. In linea di principio io penso che la lotta agli sprechi e alle ruberie deve consentire di migliorare i servizi alle persone, più che ridurre di poco le tasse a tutti.

 

L’evasione fiscale – fenomeno di malcostume molto italiano – sembra essere sempre in cima alle preoccupazioni di qualunque Governo prenda il comando del nostro Paese. Anche il presidente Renzi ha dichiarato di volersi impegnare nella lotta al suo contrasto. Ma perché poi i provvedimenti normativi e non messi in campo si rivelano così insoddisfacenti? È una questione di approccio, di metodo, di forza o di cosa?
L’evasione fiscale va combattuta attraverso un reale utilizzo dei sistemi di controllo, più che con nuove norme e nuove leggi. Ci vuole una forte volontà politica e bisogna utilizzare i mezzi informatici che ormai esistono. Ad esempio, il controllo dei conti bancari, con il dettaglio movimenti, rappresenta la fonte principale per scoprire gli evasori fiscali in tutti i paesi, mentre le operazioni di grande visibilità, come le irruzioni nei porti turistici o nei luoghi di villeggiatura, fanno tanta notizia ma pochi risultati.

 

È un dato di fatto però la clamorosa ingiustizia fiscale che oggi esiste nel nostro Paese: i lavoratori dipendenti da una parte e il mondo del lavoro autonomo e professionale dall’altro “divisi” per ricchezza e pagamento delle imposte. In che modo sarebbe possibile rendere il sistema tributario più giusto e più equo?
La grande differenza sta nel fatto che i lavoratori dipendenti sono tassati “alla fonte”, ossia non vedono le loro tasse che sono prelevate direttamente dal datore di lavoro, mentre i lavoratori autonomi hanno una maggiore discrezionalità nel definire quali sono i propri costi di produzione. Ma non farei una distinzione tra queste due categorie, perché una gran parte dei lavoratori autonomi paga le tasse correttamente. Piuttosto nel nostro Paese c’è una forte erosione di base fiscale che privilegia determinati redditi. Ad esempio, le rendite (immobiliari e mobiliari) pagano meno che il lavoro. Non c’è una tassazione sul patrimonio, come in altri paesi. Le tasse sulla casa sono minime in Italia e addirittura è stata eliminata la tassa sulla prima casa. Negli altri paesi si pagano più tasse sulla casa e meno tasse sul reddito. Questo riduce l’evasione, perché l’evasore fiscale occulta il suo reddito ma non riesce ad occultare la sua abitazione. Lo stesso vale per le imposte indirette. L’Italia ha bassi incassi IVA malgrado abbia alte aliquote, perché ha molte aliquote ridotte. Se si eliminassero parte di queste aliquote ridotte, aumenterebbe il gettito dell’IVA che è pagato anche dall’evasore quando acquista un bene. Come vede ci sono diversi modi per rendere più giusto il nostro sistema fiscale.

 

Qualche anno fa Francesco Delzio – in un suo lavoro editoriale – ipotizzava una strategia nuova e radicale per contrastare la dilagante evasione fiscale: l’espulsione sociale dell’evasore e per le attività commerciali e professionali – all’indomani della accertata violazione continua degli obblighi fiscali – l’inibizione della stessa attività, revocando ad esempio la licenza riconcessa, poi, solo quando lo stesso soggetto torna ad essere di nuovo fiscalmente fedele. Cosa ne pensa?
Queste mi sembrano buone proposte che insistono su una considerazione forte. Nei paesi più civili evadere le tasse è un’azione riprovevole che comporta una perdita di reputazione. Sicché le persone cercano di essere in regola per non perdere reputazione e, con essa, una capacità di reddito oltre che uno status sociale. Invece in Italia chi evade le tasse è considerato un furbo ed è invidiato da chi non ci riesce. Non c’è una riprovazione sociale e non può esserci in un Paese dove un ex Presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi) dichiarò che evadere le tasse è legittimo quando esse sono troppo alte (ma per i cittadini le tasse sono sempre troppo alte) e che poi è stato condannato proprio per evasione fiscale!

 

Una delle ipotesi del Governo Monti era stata l’istituzione del bollino blu per i contribuenti virtuosi. Lei invece cosa proporrebbe come premio per chi le tasse le paga?
Mi piacerebbe vivere in un Paese dove chi paga le tasse non abbia alcun premio se non la propria coscienza tranquilla, mentre chi non le paga venga messo in disparte e perda il suo stato sociale, oltre a subire le giuste condanne di legge.

 

Ci lasci con uno spiraglio di ottimismo: l’Italia ce la farà a diventare – fiscalmente parlando – un popolo più civile con servizi efficienti stile Nord Europa?
Ma io sono ottimista ed è per questo che ho scritto questo libro sulle tasse e sulla spesa pubblica. Io penso che sia importante riavvicinare gli italiani ai servizi pubblici, affinché se ne capisca il loro valore e li si apprezzi. Sto parlando della scuola che è così importante per i nostri figli e che è ancora una buona scuola con molti insegnati che si sacrificano nell’indifferenza della politica. Sto parlando della sanità che ha risultati apprezzabili nel nostro Paese, ma che ha troppe differenze tra Nord e Sud, mentre dobbiamo avere eccellenze ovunque. Sto parlando del sistema pensionistico che ci protegge nella vecchiaia. Sto parlando della necessità di investire nel nostro patrimonio culturale, nelle nostre infrastrutture e così via.
Se gli italiani torneranno ad apprezzare i servizi pubblici che ci sono necessari, allora apprezzeranno anche quanto dobbiamo pagare come tasse per averli e si ribelleranno contro i furbi che evadono le tasse. Chi evade le tasse ruba ai cittadini onesti e impedisce a tutti di avere servizi pubblici di qualità quali meritiamo come cittadini di questo Paese. Io sono convinto che sia possibile risuscitare una coscienza civile in questo Paese ed è anche per questo che ho scritto il mio libro sulle tasse.