Circa 35.000 lettere dal Fisco arriveranno al contribuente da qui alla fine di dicembre 2013 dove chiederanno di chiarire le divergenze tra dichiarazione redditi e tenore di vita
I questionari mod.55 sono dei mezzi istruttori finalizzati all’acquisizione di informazioni utili per l’attività di controllo e accertamento.
Circa 35.000 lettere dal Fisco arriveranno al contribuente da qui alla fine di dicembre 2013 dove chiederanno di chiarire le divergenze tra dichiarazione redditi e tenore di vita. L’anno sotto esame è il 2009 e nel mirino dell’ Agenzie delle Entrate ci sono soprattutto l’acquisto di beni di lusso, e anche risparmi e investimenti.
La fase di ricevimento e compilazione del questionario è la prima (15 giorni di tempo per adempiere alla risposta) alla quale seguirà un’altra di accertamento vera e propria con una nuova convocazione per avviare il contradittorio, ma scatterà solo se le spiegazioni fornite dal contribuente non saranno ritenute soddisfacenti.
L’art.32, comma 1, punto 3, del dpr n. 660/73 prevede che l’Amministrazione finanziaria, per l’adempimento dei propri compiti, può “invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’ accertamento nei loro confronti”.
La mancata risposta al questionario è sanzionabile con una multa che va da un minimo di 258 euro a un massimo di 2.065 euro e inoltre pregiudica il contribuente a far valere in sede di contenzioso i documenti non esibiti.
Scatta l’accertamento induttivo in caso di mancata risposta al questionario e omessa comunicazione dei dati contabili concernenti la cessione dell’azienda.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n.21665 del 22 ottobre 2010, ha accolto il ricorso del fisco. L’accertamento induttivo era stato emesso nei confronti di una s.r.l. che aveva ceduto l’ azienda e non aveva risposto al questionario spedito dall’Agenzia delle Entrate, né aveva trasmesso i relativi dati contabili. L’impresa aveva impugnato l’atto impositivo di fronte alla commissione tributaria provinciale e aveva vinto.
Secondo i giudici di merito, in sostanza, l’ufficio delle imposte avrebbe sbagliato a far fondare l’accertamento esclusivamente sulla mancata risposta al questionario.
Di diverso avviso la Cassazione che, accogliendo il ricorso dell’ Amministrazione finanziaria, ha precisato che «l’art.32, secondo comma, del dpr.29 settembre 1973, n.600, al fine di equiparare la disciplina relativa alle imposte diretta a quella in materia di Iva, stabilisce che le notizie e i dati non adottati e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ Ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’ accertamento in sede amministrativa e contenziosa (salvo che il cliente non dichiari contestualmente alla produzione di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile)».
Con la recente Ordinanza 26150 del 21 novembre 2013 sul ricorso 23103-2011 proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 329/9/2010 della Commissione Tributaria Regionale di Napoli, la Suprema Corte ribadisce e osserva che: in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dall’ art.32, n.4 del dpr n.600del 1973 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’ impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando la verifica dei redditi prodotti da parte dell’ Ufficio, vale di per sé solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo grave la presunzione di attività non dichiarate desumibili dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore, e conseguentemente, legittimo l’accertamento induttivo emesso sulla base dall’Ufficio ex art.39, primo comma, lett. d), del dpr n.600 del 1973 (per tutte,Sez.5,Sentenza n.19014 del 28/09/2005).
Questo accertamento su presunzioni semplici viene applicato con metodo parametrico ossia si attua su una distribuzione libera di dati. Nello specifico si tratta di un test statistico che viene effettuato dalle ipotesi sul valore di un parametro, quale la media, la proporzione, la deviazione standard, l’eguaglianza tra le due medie, ecc…
La fonte normativa degli studi di settore va ricercata negli articoli 62- bis e 62-sexies, comma 3 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazione, dalla L.29 ottobre 1993,n. 427).
Ai sensi dell’ art.62-bis gli studi sono documenti elaborati dall’ Amministrazione finanziaria sentite le associazioni professionali e di categoria, secondo una procedura cosi articolata:
– identificazione di campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori che presentano caratteristiche aziendali simili;
– controllo di questi campioni allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata.
L’art.62-sexies, comma 3,dello stesso decreto, che rappresenta la norma di riferimento in tema di accertamento da studi di settore, stabilisce, invece, che gli accertamenti (analitici-induttivi) di cui agli artt. 39,comma 1,lettera d, del dpr 29 settembre 1973, n.600 e 54 del dpr 26 ottobre 1972 n633 possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondamentalmente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore.
Lo studio di settore è quindi soltanto un semplice e puro indice di riferimento per consentire all’ufficio fiscale di adottare il particolare tipo di accertamento analitico-induttivo, nei casi e alle condizioni tassativamente previsti dagli artt. 39, primo comma ,lettera d, dpr n.600/73 e 54 dpr n.633/7.
Attenzione però in tema di accertamento induttivo del reddito d’ impresa, l’Amministrazione finanziaria può legittimamente procedere alla rettifica del reddito imponibile anche a prescindere dai dati e dalle notizie acquisite con le risposte fornite dal contribuente a fronte di uno specifico questionario o invito. Allo stesso modo, l’ufficio può negare la deducibilità dei costi riportati in dichiarazione in quanto ritenuti non congrui, e ciò anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o di vizi degli atti d’impresa. In entrambi i casi, incombe esclusivamente sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerzia, la congruità e la diretta imputazione dei costi portati in deduzione con le attività produttive di ricavi imponibili.
É quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n.7701 del 27 marzo del 2013. Il ricorso trova accoglimento sia davanti alla Commissione tributaria provinciale, sia in appello.
Nella motivazione della sentenza, i giudici di secondo grado avevano ritenuto l’atto impositivo viziato nella legittimità perché concernente la contestazione di indeducibilità di costi diversi da quelli per i quali era stata formulata la richiesta di acquisizione per mezzo del questionario.
Inoltre, a parere dei giudici di merito, era da considerarsi infondata l’eccezione dell’ufficio di inammissibilità degli atti depositati dalla società nel corso del giudizio, in quanto tali documenti non erano espressamente richiesti con il questionario.
Nel caso di specie, l’attività di controllo da parte dell’ ufficio era stata condotta mediante l’invio di un questionario (il cosiddetto questionario mod.55), previsto dall’ art.32, comma 1 del dpr n.600 del 1973, quale mezzo istruttorio finalizzato all’ acquisizione di informazioni utili per l’attività di controllo e accertamento.
Non è censurabile l’operato dell’ufficio accertatore qualora non ritenga opportuno richiedere un’integrazione dei dati, eventualmente lacunosi, forniti dalla società con la risposta al questionario, non incombendo normativamente alcun obbligo di condotta a riguardo.
Inoltre la Commissione tributaria di secondo grado aveva ritenuto illegittimo l’atto impositivo perché l’avviso de qua conteneva contestazione di costi diversi da quelli richiesti dal questionario e non era stato assicurato il contradditorio con il contribuente, al quale non era stata data la possibilità di documentare i costi oggetto di nuova contestazione.
I giudici della Cassazione non hanno ravvisato alcuna lesione del diritto di difesa della società, precisando che il quadro delle disposizioni in materia di accertamento e controlli, rubricate ne l titolo V del d.p.r. 600/1973, non prevede “quale suo presupposto o momento necessario ed indefettibile della serie procedimentale finalizzata alla rettifica” l’ invio di un questionario ed di un invito “ben potendo l’Amministrazione finanziaria procedere a rettifica della dichiarazione anche per motivi diversi e prescindendo dai dati acquisiti con le risposte fornite dal contribuente al questionario”.
Se ne deduce, pertanto, che la difformità dei dati richiesti con questionario e le contestazioni oggetto di accertamento non son causa di nullità dell’atto per vizio di legittimità.
Quindi ricapitolando ai fini dell’esatto inquadramento della fattispecie, occorre premettere che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il paradigma normativo del procedimento di accertamento della veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,n.600, non prevede, quale suo presupposto o momento necessario e indefettibile della serie procedimentale finalizzata alla rettifica, l’invio del questionario di cui all’articolo 32, sicchè il mancato invio non inficia la perfezione e la validità del procedimento di rettifica, che restano subordinati alla sola carenza dei presupposti di cui all’art-38 del suddetto decreto (principio consolidato: vedi Cass.20 giugno 2007,n. 14367, cass.23 giugno 2006,n. 14675).
Per quanto attiene ancora all’accertamento induttivo il fisco non può avvalersi di tale sistema nel caso in cui il contribuente abbia risposto con leggero ritardo al questionario e alla ricerca di documenti.
A questo punto è giunta la Corte di Cassazione che, con una sentenza del 6 ottobre 2011, ha accolto il ricorso introduttivo del contribuente che si opponeva ad un accertamento induttivo scattato dopo il suo ritardo di due mesi nel rispondere al questionario dell’ ufficio e nel produrre i documenti richiesti.
Attenzione valido è l’accertamento sintetico con redditometro se il contribuente consegna il questionario firmato ma in bianco, è quanto emerge dalla recente sentenza della Ctr di Firenze n.48/2013.
Sempre in tema di accertamento sintetico scaturisce la controversia che in breve descriverò con quanto emerge dalla sentenza 74/27/2013 della Ctr Lombardia del 09/09/2013. La quale stabilisce che la mancata risposta al questionario non preclude la possibilità per la difesa di produrre documenti sia nelle successive fasi istruttorie che in contenzioso. Nel ricorso in Ctp, la contribuente ha dimostrato, attraverso l’esibizione di documenti, che alcuni anni prima le erano stati accreditati oltre 8milioni di euro a seguito dell’ alienazione di una partecipazione sociale, e che una consistente parte di quella somma era stata trasferita in una gestione patrimoniale in titoli, poi notevolmente incrementata negli anni. I giudici della Ctp hanno accolto il ricorso ma l’ agenzia delle entrate ha presentato appello perché ha ritenuto che la ricorrente, non avendo dato corso al questionario inviatole, era decaduta dalla possibilità di produrre quei documenti ai sensi dell’ articolo 32 del dpr 600/1973. Il collegio di secondo grado non condivide questa interpretazione e da atto che la contribuente non si era sottratta al dovere di collaborazione con l’ ufficio, dal momento che già nella fase precontenziosa aveva versato copiosa documentazione senza che ciò producesse alcun esito positivo. La Commissione regionale afferma che l’omessa risposta al questionario non poteva comportare effetti preclusivi, perché la facoltà di allegazione si perde solo se l’Amministrazione abbaia effettuati una richiesta di atti per i quali è prevista la tenuta obbligatoria, a cui sia seguito un rifiuto del contribuente. E questo perché in tali casi è il comportamento del contribuente, che si sottrae alla prova nella fase che viene prima del giudizio, a fornire validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti che abbiano a riaffiorare nel corso del giudizio e quindi a giustificare la loro inutilizzabilità. In appello l’ amministrazione finanziaria ha puntato anche sulla tardività della produzione, sostenendo che in primo grado aveva depositato i documenti oltre il termine di venti giorni prima della data di trattazione (art.32,comma 1,del D.lgs. 546/1992). La sentenza 74/27/2013 respinge anche tale censura e osserva che, ammesso che la produzione fosse irrituale, il documento poteva essere legittimamente valutato in appello, come disposto dall’ art.58 del DLGS546/1992.
Inoltre sempre in merito alla mancata risposta al questionario la preclusione fissata dal terzo e dal quattro comma dell’art.32 del d.p.r. 29 settembre 1973,n.600, la quale vieta al contribuente di produrre in giudizio elementi a proprio discarico, se non tempestivamente forniti all’ amministrazione nel termine assegnatogli, non opera se l’amministrazione non l’abbia previamente avvertito delle conseguenze collegate a tale inottemperanza. Questo aspetto non trascurabile si evince dalla sentenza n.453 del 10/01/2010 (RV. 624728).
Con la sentenza n.9892 del 05/05/2011 (Rv.617932) si afferma che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nella procedura improntata al principio del contradittorio, quale quella prefigurata con la richiesta di informazioni e documenti mediante questionari, ai sensi dell’ art.32 del dpr 29 settembre 1973, n.600, una volta che il contribuente abbia ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’ onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e più in generale la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati. Solo dopo l’adempimento di tale onere di contestazione, può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio.
E da non trascurare neanche la sentenza della Ctr di Reggio Emilia n.203/03/13 depositata il 15 novembre 2013, tale pronuncia al pari delle varie sentenze di merito e di legittimità intervenute nell’ ultimo periodo , fornisce un ulteriore spunto difensivo per i contribuenti impegnati nella difesa da accertamenti sintetici/redditometrici. In questa sentenza si evince proprio che la situazione reale di cui tener conto ai fini fiscali dei conviventi vien equiparata a quella prodotta nel matrimonio. E quindi ai fini dell’ accertamento sintetico e redditometro la capacità di spesa del contribuente deve tener conto di altri soggetti conviventi anche se non appartenenti al medesimo nucleo famigliare.
Nullo è l’accertamento fiscale basato solo sul questionario inviato dal contribuente all’ufficio delle imposte. Affinchè l’atto impositivo sia valido è infatti necessario instaurare un vero e proprio contradittorio con il contribuente e predisporre un’ ispezione sulla contabilità.
Lo ha sancito la Ctr di Roma, sezione distaccata di Latina, che con la sentenza 466/13, ha respinto l’appello presentato dal fisco contro la decisione della Ctp che aveva annullato l’accertamento.
I giudici hanno spiegato che il cosidetto “questionario” rappresenta l’incipit di un rapporto con il contribuente e l’ufficio e che quindi tale documento non può essere rubricato come un vero e proprio contradditorio tra le parti. Contradittorio che rimane pertanto necessario giacchè l’unico mezzo con il quale è possibile arrivare, attraverso l’esame dei libri contabili e della relativa documentazione non conosciuta dall’ ente impositore, a conclusioni più attendibili.
L’ invio del questionario innesta, in seno al procedimento di accertamento della veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, un subprocedimento che si dipana in più passaggi, consistenti:
-nell’ invio del questionario, con la fissazione di un termine minimo a carico del contribuente per l’ adempimento degli inviti o delle richieste rivoltogli;
– nell’ avvertimento da parte dell’ ufficio delle conseguenze derivanti al contribuente dall’ inottemperanza a tali inviti o richieste;
-nella risposta del contribuente che fornisca dati e documenti richiesti, ovvero nell’ inottemperanza del contribuente alle richieste rivoltogli.
E proprio per quanto riguarda quest’ ultimo passaggio si considera che il contribuente non ha nessun limite al diritto di difesa per quanto riguarda l’esibizione e quindi l’utilizzazione dei documenti richiesti in sede di verifica quando dimostri che il suo inadempimento è stato dovuto a una ”manifesta difficoltà di reperimento”.
La sanzione fiscale si applica solo quando il cittadino pur essendo in possesso degli incartamenti, rifiuta senza un valido motivo la consegna alla Guardia di Finanza.
Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n.27595 del 10 dicembre 2013, ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle entrate. Ad avviso del Collegio di legittimità, la sanzione della inutilizzabilità dei documenti di cui sia stata rifiutata l’esibizione in caso di verifica, prevista dall’art.52,quinto comma dpr 633/72, non presuppone necessariamente che il rifiuto di esibizione sia stato doloso sia dipeso da un errore non scusabile, di diritto o di fatto, dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative o altro. Tuttavia, perché sia preclusa l’utilizzazione in sede amministrativa o contenziosa di un documento è pur sempre necessario non solo che esso sia stato richiesto in sede di verifica (non potendo costituire la mancata esibizione di qualcosa che non è richiesto) ma anche che alla richiesta di esibizione il contribuente fosse in condizione di rispondere positivamente adottando l’ordinaria diligenza, ossia che il documento richiesto fosse in suo possesso o fosse da lui agevolmente e tempestivamente reperibile, in originale o in copia presso chi lo possedeva.
La sentenza con la quale la Ctr ha dato ragione al contribuente non è dunque incorsa, come prospettato dalla difesa dell’amministrazione finanziaria, in vizio di violazione di legge, perché ha correttamente escluso che fossero inutilizzabili documenti la cui mancata esibizione in sede di verifica era dipesa dalla “manifesta difficoltà di reperimento”, espressione da intendere come equivalente a difficoltà di reperimento non superabile con l’ordinaria diligenza. Il giudice territoriale trae la conseguenza che nella specie non sarebbe riscontrabile “alcuna ipotesi di rifiuto di esibizione o sottrazione” della documentazione poi prodotta in giudizio, cosicchè la disposizione di cui all’art.52, quinto comma, dpr 633/72, non risulterebbe applicabile per difetto di un “comportamento teso scientemente a porre in essere i riferiti atti omissivi al fine di intralciare e condizionare la verifica in atto”.
La Corte sottolinea che tale subprocedimento (ossia la richiesta dati e documenti) è dettato allo scopo di favorire il dialogo tra le parti, in vista di un chiarimento delle reciproche posizioni, icapace di escludere l’ istaurazione del contenzioso (Cassazione 30 dicembre 2009, n. 28049), in base a i canoni di lealtà, correttezza e collaborazione, che sono necessariamente implicati quando siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria (Corte Costituzionale, 25 luglio 2000,n. 351).
L’articolo è stato redatto in collaborazione con la dottoressa Grazia Albanese
(Per approfondire la tematica fiscale è possibile consultare il libro “Come difendere il contribuente dal redditometro dopo le nuove circolari”, scritto insieme all’avvocato Francesca Giorgia Romana Sannicandro – http://ordini.maggioli.it/clienti/product_info.php?products_id=10226&osCsid=dfo5oc7grbpf1vsoqosu6c3lc6