Ritorniamo a parlare del più e del meno: c’è più profondità in superficie e c’è del bello nella leggerezza, più di quanto si possa immaginare. E se vogliamo chiedere a qualcuno come sta, assicuriamoci che la cosa ci stia a cuore
Abbiamo perso l’abitudine a quello che gli inglesi chiamano small talk, arte del conversare bene e poco senza approfondire quasi niente, tanto per il gusto e l’educazione di non starsene in silenzio quando si incontra qualcuno.
Alcuni sentono il bisogno di buttarsi su argomenti in cui prendere posizione è un imperativo, senza curarsi del fatto che spesso mancano il tempo di approfondire, gli strumenti, le competenze. E magari la voglia da parte del malcapitato interlocutore. Altri parlano solo di sé. Troppo di sé. Senza nemmeno un se, altrettanto incuranti che del loro io, a chi incrociano, importi davvero così tanto. Una certezza che non si sa da dove venga, ma che imperversa facendo sperare che uno squillo di telefono interrompa la tortura. Per non parlare del come stai. Chiaramente nessuno avrà voglia di dirti che ha le transaminasi sballate o il commercialista col fiato sul collo, quindi si limiterà a dire tutto bene anche quando tutto bene non va. Oppure farà un elenco interminabile di disagi, lamentele, rogne che porteranno chi ha posto la domanda, a domandarsi chi me l’ha fatto fare.
Certo, parlare del tempo, come si faceva un tempo, non aiuta. Ci siamo ritrovati ferragosto a giugno con i black out a comando se solo osiamo pretendere un po’ di aria fresca in più. E a che prezzo poi…Siamo diventati bravi solo su whatsapp. Ci si scrive di tutto, a tutte le ore con tutti. Poi ci si incontra e rimane ben poco da dire.
Quando mi chiedono come sto rispondo a mezza bocca, se me lo scrivono mi svincolo. Anche quando va tutto bene. Non so se è scaramanzia o consapevolezza che chi domanda raramente ascolta la risposta, fatto sta che il quesito mi disturba assai. Non chiedetemi come sto e smettetela di chiederlo. Se fosse per me lo bannerei anche dal bon ton. Ma sarebbe un’interpretazione totalmente personale.
Quello che posso suggerire è ciò che insegnavano i vecchi: ascoltare. Si diventa bravi oratori, persone di compagnia, stando a sentire cosa ci dice chi ci è di fronte prima ancora e meglio, rispetto a chi ti scaraventa una mitragliatrice di parole al vento per poi guardare il telefono o mostrarsi annoiato quando è il turno di aprire le orecchie. Ritorniamo a parlare del più e del meno: c’è più profondità, specie se manca il tempo, in superficie, e c’è del bello nella leggerezza, più di quanto si possa immaginare. E se davvero vogliamo chiedere a qualcuno come sta, assicuriamoci che la cosa ci stia veramente a cuore. Non con tutti si può. Non sempre.