Definibile come una corsia preferenziale per raggiungere l’obiettivo della quotazione in Borsa, per il successo di una SPAC risultano essenziali la qualità e lo standing dei fondatori che ne costituiscono anche il management. L’Agenzia delle Entrate valorizza, anche sotto il profilo della fiscalità, questo strumento finanziario molto utile
Di recente stanno avendo grande risalto sul mercato dei capitali le cosiddette “Special Purpose Acquisition Companies (SPAC)”.
In sintesi, la SPAC è un veicolo societario, appositamente costituito al fine di reperire, attraverso il collocamento sui mercati ufficiali di proprie azioni (ma anche di altri strumenti finanziari), le risorse necessarie per acquisire una società operativa non quotata (la “Target”).
Per il tramite della SPAC, quindi, si semplificano e si velocizzano le procedure e i tempi di quotazione di società, che, sebbene meritevoli di accedere all’MTA, non avviano i relativi processi di ammissione perché timorose della complessità e dei costi che tali decisioni generalmente comportano.
La SPAC può essere definita, conseguentemente, come una corsia preferenziale per raggiungere l’obiettivo della quotazione in Borsa ed essenziali per il suo successo sono la qualità e lo standing dei fondatori (Promoter), che ne costituiscono anche il management.
I capitali raccolti con l’IPO possono essere utilizzati esclusivamente per l’acquisto di una Target, che, nello schema – tipo, viene successivamente incorporata nella SPAC realizzando la cosiddetta ”Business Combination”.
La SPAC ha 24 mesi dall’IPO per identificare e acquisire la Target, altrimenti essa deve essere sciolta e liquidata, con conseguente restituzione degli apporti agli azionisti.
Queste necessarie premesse consentono di inquadrare al meglio la tematica affrontata dall’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n.13 del 2 febbraio 2018, avente ad oggetto una SPAC che, nel perseguimento delle proprie finalità, aveva acquisito e successivamente incorporato una società industriale non quotata, la Target appunto.
La Target era una holding di un gruppo e in tale qualità aveva anche il ruolo di consolidante di un consolidato fiscale che, negli anni precedenti all’acquisizione, aveva realizzato un ingente ammontare di perdite fiscali pregresse.
Il quesito posto all’AGE aveva ad oggetto la sorte: (i) del consolidato preesistente della Target e (ii) delle perdite fiscali pregresse post fusione.
Il timore era infatti di dover bruciare, proprio a causa della inevitabile fusione, tutto il tesoro fiscale maturato dal Target.
Con riferimento al primo tema, l’operazione prospettata era riconducibile ad una fusione per incorporazione di una società consolidante con una società non inclusa nel consolidato e l’incertezza nasceva dalla circostanza che l’art. 124 del TUIR prevede l’interruzione del consolidato fiscale, se il requisito del controllo (come definito dall’art. 117 TUIR) cessa per qualsiasi motivo prima del compimento del triennio.
A supporto della continuazione del vecchio consolidato fiscale, la SPAC riteneva potessero invocarsi le disposizioni del comma 5 dell’art. 124 TUIR che stabiliscono che, nel caso di fusione della consolidante con società non appartenenti al consolidato, il consolidato può continuare ove la controllante sia in grado di dimostrare, anche dopo la fusione, la permanenza di tutti i requisiti previsti ai fini dell’accesso al regime (controllo – diritto agli utili – holding period).
E tale continuazione non avrebbe dovuto determinare nemmeno la riattribuzione delle perdite fiscali pregresse alle vecchie consolidate, atteso che il nuovo soggetto consolidante non avrebbe effettuato una nuova opzione, ma, in forza della fusione, sarebbe subentrato nel complesso delle posizioni giuridiche attive e passive facenti capo alla società incorporata, ivi compresa l’opzione per il consolidato.
La procedura adottata, invece risultava essere una operazione di “mercato” con specifiche caratteristiche tecniche che, nello specifico caso, aveva consentito una facilitazione di immissione di risorse finanziarie in favore del “business della Target”.
Il punto essenziale della risposta positiva dell’AGE al primo quesito si è basato sulla considerazione che l’operazione effettuata (costituzione di una SPAC con quotazione della stessa e fusione per incorporazione della Target) ha gli stessi effetti economici, finanziari e giuridici, seppur con tempi più ristretti e con rischi minori, di un processo di quotazione diretta del Target.
Ne consegue, quindi, che qualora vengano rispettate il complesso delle disposizioni di legge relative al regime di tassazione di Gruppo e quelle relative al regime delle fusioni ex art. 172 TUIR, non sussistono preclusioni alla continuazione del consolidato della Target, in testa alla società risultante dalla fusione in qualità di consolidante, con efficacia già nel periodo d’imposta nel quale ha effetto la fusione.
Ovviamente l’AGE ha precisato che la società risultante dalla fusione dovrà comunicare la conferma della tassazione di Gruppo da parte delle società coinvolte nell’operazione prospettata, mediante la presentazione di apposito modello telematico.
Più complesso si presentava invece il tema della riportabilità delle perdite fiscali pregresse, in considerazione della copiosa prassi AGE, dove nelle fusioni di una consolidante si ammetteva la prosecuzione del regime in capo alla società incorporante, ma si stabiliva che tali perdite non potessero transitare nel nuovo consolidato perché maturate antecedentemente.
Con un apprezzato approccio innovativo invece, l’AGE ha sottolineato che la disciplina generale non sia applicabile alla fattispecie in esame, bensì ai casi dove la perdita dello status di consolidante consegua all’esercizio dell’opzione per una diversa fiscal unit, in veste di soggetto consolidato.
Il punto chiave della risposta positiva anche in questo caso è riconducibile alla natura dell’operazione: il nuovo soggetto consolidante (la SPAC) non ha una propria operatività ed è stato costituito al solo fine di individuare la società target e agevolarne la quotazione in borsa.
L’AGE aggiunge anche che la fusione, essendo la giusta e necessaria conclusione del procedimento di quotazione e acquisizione, non può determinare un effetto fiscale diverso da quello che si sarebbe generato ove il processo di quotazione fosse stato direttamente iniziato da Alfa.
La posizione dell’AGE, semel in anno, è apparsa scevra da manie antielusive e invece improntata a valorizzare, anche sotto il profilo della fiscalità, uno strumento finanziario molto utile quale è appunto la SPAC.
È evidente infatti che, laddove l’AGE avesse avuto un approccio opposto, la SPAC avrebbe certamente perso gran parte del suo appeal per quei gruppi, che – passata la crisi e con interessanti tesoretti di perdite fiscali pregresse a disposizione – fossero stati tentati dalla quotazione per il suo tramite.
Segniamo un punto a favore dell’AGE stavolta.