Per il presidente di Fondazione con il Sud non si risolvono povertà e disuguaglianze con il solo aumento del Pil. E in tema di divario territoriale invita a chiedersi se «ciò che rende così lontani il Nord e il Sud del Paese sia solo una questione di reddito, o se riguardi il livello di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più precisamente, di qualità della convivenza civile»
Uno degli ambiti di interesse e azione di Fondazione con il Sud è lo sviluppo del capitale umano di eccellenza, per valorizzare i giovani talenti e attrarre i “cervelli” al Sud; Sud che – secondo lei – non ha meno servizi sociali perché povero, ma è povero perché non si è investito nel sociale. In che modo la sua Fondazione contribuisce da tempo a recuperare questo storico ritardo promuovendo al contempo innovazione sociale?
La Fondazione con il Sud, ormai da 15 anni, porta avanti concretamente l’idea che per creare sviluppo nel Mezzogiorno non servono, o meglio non bastano, le soluzioni e gli investimenti di denaro che arrivano “dall’alto”. Sono utili e importanti, ma non possono essere sufficienti se non si ascolta il territorio, se non si mettono in rete le sue energie buone, se non si tiene conto dei bisogni ma anche delle risorse, se non si ascoltano le esigenze e le possibilità espresse da chi ogni giorno si “rimbocca le maniche” per migliorare il luogo in cui vive. E la vera chiave è il “con”, il costruire insieme. Per questo motivo la Fondazione punta sul lavoro di reti di organizzazioni, mettendo al centro il terzo settore, conoscitore profondo e competente delle dinamiche e dei bisogni delle comunità locali. In questi anni la Fondazione con il Sud ha sostenuto oltre 1.500 iniziative, tra cui la nascita delle prime 6 fondazioni di comunità meridionali, coinvolgendo 6.500 organizzazioni diverse – tra non profit, enti pubblici e privati – ed erogando complessivamente 264 milioni di euro.
Restando in tema, il contrasto alla dispersione scolastica è al centro del vostro impegno. Al Sud anche la scuola è più disuguale. Come si dovrebbe agire perché possano essere garantite a tutti le stesse opportunità formative?
La Fondazione si è occupata direttamente di questi temi fino al 2016, anno in cui è nata l’Impresa Sociale Con i Bambini, interamente partecipata dalla Fondazione, per attuare i programmi del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, previsti dal Protocollo d’Intesa stipulato tra il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Presidente di Acri, l’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria. Fino ad oggi Con i Bambini ha sostenuto con quasi 340 milioni di euro oltre 400 progetti in tutta Italia che coinvolgono mezzo milione di bambini e ragazzi insieme alle loro famiglie.
Attraverso i progetti sono state messe in rete oltre 7.200 organizzazioni, tra Terzo settore, scuole, enti pubblici e privati rafforzando le “comunità educanti” dei territori. La vera chiave del cambiamento sta proprio nel concetto di “comunità educante”: la responsabilità dei bambini e dei ragazzi, della loro crescita, educazione e benessere non è affidata ad un’unica agenzia educativa, ma all’intero sistema di relazioni e persone che ruota attorno ai minori. È attraverso una comunità che educa e che, ascoltando, si lascia educare, che immaginiamo la lotta alle disuguaglianze di cui la povertà educativa è una delle rappresentazioni più drammatiche e inaccettabili.
Il Paese deve convincersi che l’educazione dei bambini e dei giovani è una questione prioritaria, perché è “con” loro che si costruisce il futuro. Non sono tanto le risorse economiche, quindi, ma l’impegno, la partecipazione e la valorizzazione delle persone e delle comunità la premessa per lo sviluppo futuro. La sfida del Fondo e più in generale delle nostre comunità è proprio quella di investire sul capitale sociale, vera condizione dello sviluppo. Investendo sui bambini e sui giovani, il Paese si assicurerà un futuro migliore.
Come dicevo, in questo quadro svolge un ruolo molto importante il Terzo settore: organizzazioni radicate sui territori, conoscitrici quindi delle esigenze, dei disagi e delle potenzialità da coltivare.
Una legge del Regno d’Italia permetteva ai soci delle cooperative di produrre e distribuire energia. Oggi questo modello democratico sopravvive nelle comunità energetiche, che producono e gestiscono energia pulita. Un esempio di transizione energetica che approda anche al Sud. Qual è il ruolo della sua Fondazione nella comunità di Napoli Est?
La Comunità Energetica di Napoli Est, promossa da Legambiente in collaborazione con la Fondazione Famiglia di Maria e sostenuta dalla Fondazione con il Sud, è un esperimento che da marzo 2021 ha già coinvolto 20 famiglie in una vera e propria “rivoluzione culturale”, perché basata sul concetto di sostenibilità come obiettivo non soltanto ambientale ma anche e soprattutto sociale.
Il tetto della sede della Fondazione Famiglia di Maria ospita oggi un impianto solare da 53 kw e, per la prima volta in Italia, l’energia prodotta è condivisa con le famiglie di un quartiere difficile, in cui è radicato il fenomeno dell’abusivismo energetico. Per questo è stato importante realizzare una forte campagna di sensibilizzazione, anche grazie all’aiuto dei giovani della zona, per coinvolgere le famiglie che ora risparmiano, sfruttando energia pulita, rinnovabile e legale.
Quello di San Giovanni a Teduccio è un esperimento che dimostra, ancora una volta, quanto sia insostituibile il ruolo del Terzo settore, per la sua capacità di “costruire”, con fatica, ma con successo, comunità. Per queste iniziative bisogna infatti tessere rapporti positivi con i cittadini, le istituzioni, le imprese. Partendo da questa prima esperienza la Fondazione ha recentemente promosso un bando da 1,5 milioni di euro per favorire la nascita di “comunità energetiche” nelle regioni meridionali, con l’obiettivo di promuovere processi partecipati di transizione ecologica dal basso e ridurre la povertà energetica in cui vivono le famiglie che si trovano in situazioni di difficoltà economica e sociale. Come al solito l’obiettivo della Fondazione non può essere quello di risolvere grandi problemi, ma di mostrare che sono possibili strade innovative, efficienti ed efficaci per affrontare problemi complessi.
E che il segreto per innescare veri percorsi di cambiamento, per combattere le diseguaglianze, per promuovere lo sviluppo dei territori non è realizzare interventi “per” i più fragili, ma “con” i più fragili.
Allargando e allungando lo sguardo di cosa e di chi ha bisogno il Mezzogiorno?
È necessario capovolgere il paradigma dominante. Non si risolvono la povertà e le disuguaglianze se cresce il PIL. Chiediamoci innanzitutto, seriamente, se ciò che rende così lontani il Nord e il Sud del Paese sia solo una questione di reddito, o se riguardi il livello di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più precisamente, di qualità della convivenza civile. É ovvio che le differenze in termini di ricchezza disponibile incidono sulle condizioni di vita, ma questa valutazione non è sufficiente. Io credo che non possa esserci nessuna reale e credibile opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno se non cambiamo punto di vista, iniziando ad investire su quella che è la vera priorità per il Sud e per la sua crescita: la coesione sociale.
La questione meridionale è diventata, se non è sempre stata, una questione sociale: di nuove povertà, di diversi bisogni, di frammentazione del tessuto civile. Sono le differenti condizioni di vita e il diverso grado di opportunità offerto dai territori ad allontanare davvero il Sud dal Nord. Prenderne atto e intraprendere una strada che vada in questa direzione è indispensabile e rappresenta un gesto di vera responsabilità che deve coinvolgere, in primis, i meridionali.