Obesità e comportamenti alimentari (1° parte)

Il Ministero della Salute britannico ha recentemente stimato che, se continueranno le attuali curve di crescita dell’obesità, entro il 2050 ci sarà un’aspettativa di vita media inferiore di 5 anni per gli uomini.

 

Le patologie croniche non comunicabili rappresentano una delle sfide più difficili per i sistemi sanitari, sia nei paesi industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo: gli esempi più evidenti sono l’obesità e il diabete.

L’obesità è ormai una patologia epidemica e gli interventi di prevenzione, fino ad ora, si sono dimostrati inefficaci anche in Italia, perché basati sul paradigma della responsabilità personale. Questo concetto è stato espresso chiaramente da diversi autori. Il ruolo della responsabilità personale, che è centrale nel pensiero anglosassone e sta prendendo progressivamente piede nella nostra cultura, vede il successo come legato alla motivazione e al duro lavoro e l’insuccesso come un fallimento personale. Gli esperti sono concordi sul fatto che l’obesità è una condizione complessa che deriva dall’interazione di fattori genetici, psicologici e ambientali. La genetica e la debolezza psicologica non possono spiegare, da sole, l’aumento dell’incidenza di obesità osservato negli ultimi anni. L’obesità è un’epidemia globale e per poterla gestire in modo adeguato è necessario concentrarsi anche e soprattutto sugli stili di vita che lo sviluppo industriale ha creato. Potrebbe sembrare superfluo ricordare che l’obesità riduce l’aspettativa di vita. Il Ministero della Salute britannico ha recentemente stimato che, se continueranno le attuali curve di crescita dell’obesità, entro il 2050 ci sarà un’aspettativa di vita media inferiore di 5 anni per gli uomini.

 
Purtroppo nessun paese è ancora riuscito a invertire la tendenza, al momento generalizzata, verso un aumento di peso della popolazione. Il rapido evolversi in senso negativo della situazione richiede soluzioni e interventi strutturali innovativi. Siamo abituati, purtroppo, a vedere l’obesità come un fallimento individuale, come l’incapacità del singolo di gestire la grande quantità di scelte possibili, e quindi come una carenza di controllo degli impulsi.

 

L’obeso è il malato, l’obeso va curato. Qualcuno è arrivato ad insinuare che i poveri, che normalmente sono più obesi, hanno meno autocontrollo. Per evitare tale semplificazione, e gli errori di pianificazione sanitaria e sociale conseguenti, è importante studiare a fondo il comportamento alimentare della popolazione e averne quanto più possibile un’immagine critica a 360 gradi. È innegabile che la società contemporanea fornisce un’ampia gamma di occasioni per consumare cibi e bevande. Si tratta di una forma di consumo facile che può condurre inavvertitamente al cosiddetto “iperconsumo passivo”, in cui i soggetti non si accorgono di mangiare prodotti ad alta densità energetica e in quantità eccessiva.

La disponibilità di alimenti a basso costo e in grande quantità è un fenomeno relativamente recente per l’Italia; una vera rivoluzione alimentare è avvenuta nel decennio 1951-1961 con un aumento impressionante di tutti i consumi: la carne passa da 14,8 a 25,9 kg pro capite/ anno, la frutta da 16,6 a 61,5 kg e le verdure da 36,5 a 112,7 kg. Il consumo del pesce, che era di soli 2,9 kg, sale a 7,2 kg pro capite/ anno. Siamo portati, abitualmente, a sottovalutare questo dato basandoci sulle osservazioni di Ancel Keys degli anni Cinquanta e sull’immagine di una dieta mediterranea idealizzata. Questo tipo di alimentazione, definita oggi salutare, era una scelta non voluta ma obbligata dalla mancanza di disponibilità economiche. Negli ultimi 50 anni tutto è cambiato. Soprattutto, si sono profondamente modificati i costumi e i comportamenti alimentari. Le politiche agricole come la Politica agricola comune della UE, hanno incoraggiato la produzione a basso costo di zuccheri, grassi e oli, carne e alcol attraverso sussidi e altre misure, limitando al tempo stesso l’immissione nel mercato di frutta e verdura. Le eccedenze alimentari di alcuni prodotti hanno indotto strategie di marketing per aumentarne il consumo, e ciò ha determinato un consumo domestico eccessivo e la distorsione del commercio internazionale, con effetti sanitari negativi sia nel nostro che in altri Paesi.