Delega fiscale: il progetto di legge di riforma del processo tributario/PARTE PRIMA

MAURIZIO VILLANI WEBAnche attraverso la riforma dell’impianto processuale tributario si potrebbe contribuire a risolvere i gravi problemi economici dell’Italia in recessione. Pubblichiamo qui, di seguito, la prima parte di una serie di proposte di modifica e integrazione dell’intervento legislativo.

Il progetto di legge di riforma del processo tributario d’iniziativa del Senator Giorgio Pagliari è un ottimo e condivisibile intervento legislativo per modificare finalmente il processo tributario, adeguandolo alle nuove regole del processo civile e parificando processualmente il cittadino-contribuente (con il suo difensore) e il fisco (nazionale e locale), anche in vista dell’approvazione della delega fiscale.

La redazione del suddetto progetto di legge è meritoria opera – per l’ottima e coraggiosa stesura – dei professor Cesare Glendi e Alberto Comelli, nonché del loro allievo Carlo Soncini.

 

Prima di suggerire modestamente quali potrebbero essere le ulteriori modifiche e integrazioni da inserire per rendere il processo tributario ancora più aderente al precetto costituzionale dell’art. 111, comma 2(«Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata»), è importante, intanto, sottolineare le principali (ma non uniche) positive novità previste.

 

ELEMENTI POSITIVI

Come opportunamente rilevato nella relazione illustrativa che lo accompagna, il progetto di legge è improntato a criteri di generalità, riguardando tutte le liti tributarie, individuate in rigorosa aderenza ai precetti costituzionali, di equilibrata salvaguardia delle parti, enti titolari del potere impositivo ed esattivo e destinatari dei relativi provvedimenti nonchè, infine, di semplicità regolamentare, integrando e adeguando la disciplina attualmente contenuta nel D.Lgs. n. 546/92, senza, peraltro, trascurare – anzi preservando – tutte le positività che hanno connotato la predetta normativa che già aveva segnato un notevole miglioramento rispetto a quella precedentemente contenuta nel DPR n. 636/72.

 

Alla luce dei suddetti criteri, i principali elementi positivi del progetto di legge possono così sintetizzarsi (si citano i relativi articoli):
1)    innanzitutto, la nuova terminologia “codice del processo tributario”, senza più fare riferimento al generico termine di contenzioso tributario, nonché l’organica disposizione dei 121 articoli;
2)    la giurisdizione tributaria esercitata dai (art. 1):
–    Tribunali tributari;
–    Corti d’appello tributarie;
–    Sezione tributaria della Corte Suprema di Cassazione;
3)    l’ammissione della testimonianza, anche in forma scritta (art. 15, commi 3, 4 e 5);
4)    la sospensione in appello dell’atto impugnato (art. 111), nonché la sospensione in appello dell’esecuzione della sentenza di primo grado (art. 84) e la sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello nel caso di ricorso per Cassazione (art. 373 c.p.c.); è importante codificare i suddetti principi, già riconosciuti dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione – Sezione tributaria – (sentenza n. 2845 del 24 febbraio 2012), ma spesso oggi ignorati da molte Commissioni tributarie di merito, con motivazioni non condivisibili;
5)    la possibilità di conciliare anche in grado di appello (art. 119);
6)    il nuovo giudizio davanti alla Sezione tributaria della Corte di Cassazione (artt. 97-99), soprattutto per quanto riguarda la mancata partecipazione al procedimento del pubblico ministero (art. 98, comma 5, cit.), come peraltro previsto dall’art. 75 D.L. n. 69 del 21/06/2013, confermato dalla legge di conversione n. 98/2013 (in G.U. n. 194 del 20/08/2013), che modifica sensibilmente la disciplina sull’intervento del PM nei processi civili davanti al giudice di legittimità;
7)    l’adeguamento alle nuove norme del codice di procedura civile, soprattutto per quanto riguarda:
–    la translatio iudicii (art. 5);
–    la rimessione in termini (art. 5, comma 4, e 46, comma 1), anche se per ipotesi limitate;
8)    gli effetti della tardiva costituzione in giudizio della parte resistente (art. 47, comma 5);
9)    la previsione che la sentenza non sottoscritta è nulla e la relativa nullità può sempre essere fatta valere anche oltre i limiti ed al di fuori delle regole proprie dell’appello e del ricorso per Cassazione (art. 64, comma 4);
10)    sempre la discussione in pubblica udienza (art. 60, comma 1, e 96);
11)    la possibilità per il giudice tributario di condannare al risarcimento dei danni nei casi tassativi previsti dalla legge (artt. 12, comma 4, 20, 21, comma 4 e commi 8 e 9);
12)    l’organica normativa sui difensori delle parti (artt. 19 e 20);
13)    la possibilità di proporre il ricorso collettivo e cumulativo, anche se in casi limitati (art. 23 e 24).

 

EVENTUALI MODIFICHE E INTEGRAZIONI

Le eventuali modifiche (correttive e integrative) che potrebbero essere inserite per rendere il processo tributario ancora più aderente ai precetti costituzionali in tema di “giusto processo” (art. 111 Cost.) e diritto di difesa (art. 24 Cost.), anche in vista dell’approvazione della delega fiscale, potrebbero a mio avviso essere:

1)    Art. 2, comma 3
Il citato comma dovrebbe essere modificato nel senso di  concedere ai giudici tributari anche la giurisdizione sulle controversie che attengono all’atto di pignoramento e agli altri atti dell’esecuzione forzata tributaria, prevedendo la specifica disciplina processuale oggi prevista dall’art. 22 D.Lgs. n. 472 del 18/12/1997, in tema di ipoteca e sequestro conservativo.
In proposito, si è indirettamente pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 21110 del 28 novembre 2012.
In tal modo, si avrebbe una corretta concentrazione dei procedimenti (anche alla luce dell’art. 54 della Legge n. 69 del 18/06/2009, in tema di delega al Governo per la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili), con la possibilità di una migliore e più efficace difesa da parte del cittadino-contribuente, oggi costretto ad adire giudici diversi per contrastare azioni esecutive di Equitalia Spa, che spesso agisce senza la necessaria autorizzazione dell’autorità giudiziaria (per esempio, art. 52, comma 1, DPR n. 602 del 29/09/1973 e succ. modifiche e integrazioni nonché sentenza n. 15746 del 19 settembre 2012 della Corte di Cassazione – Sezione tributaria).

Attualmente , per esempio, in tema di iscrizione di ipoteca, assistiamo al seguente contrasto legislativo:
–    l’art. 77 DPR n. 602/73 cit. consente ad Equitalia S.p.A. di iscrivere direttamente l’ipoteca, senza alcun vaglio giudiziario; l’art. 22 D.Lgs. n. 472/1997 cit., invece, consente agli uffici fiscali di iscrivere ipoteca solo se autorizzati dal giudice tributario, dopo un regolare processo in cui il contribuente ha potuto difendersi.
La modifica legislativa suggerita, secondo me, eviterebbe la suddetta, assurda, dicotomia processuale, concentrando nel giudice tributario la competenza per tutte le fasi esecutive, evitando che Equitalia S.p.A. possa agire senza alcun preventivo vaglio giudiziario e, soprattutto, consentendo al contribuente un effettivo diritto di difesa senza il problema di rivolgersi a giudici diversi, con il rischio di eventuali e possibili difetti di giurisdizione e lungaggini processuali, come più volte evidenziato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (ordinanze nn. 14501/2010, 20778/2010, 20779/2010, sentenze nn. 4077/2010, 5994/2012, 15647/2010, 11930/2010 e 16412/07 SS.UU.).
Inoltre, come correttamente precisato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le ordinanze n. 16953, 16954, 16955, 16956 e 16957 del 05 ottobre 2012, l’art. 59 della Legge n. 69/2009, pur configurando l’istituto della proposizione d’ufficio del conflitto di giurisdizione, non detta le regole procedurali relative; tale lacuna è, però, colmabile applicando in via analogica la disciplina del conflitto di competenza di cui all’art. 45 c.p.c. e, in particolare, l’art. 47, quarto comma, c.p.c., che dispone la rimessione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della Corte di Cassazione con ordinanza che, se pronunciata fuori udienza, deve essere prima comunicata alle parti a cura del cancelliere del medesimo giudice ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio.
Infine, occorre rilevare che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 9594 del 13 giugno 2012, ha stabilito il principio che se, per effetto della non impugnazione sulla giurisdizione della sentenza che ha deciso il merito della controversia, si è formato il giudicato implicito sulla giurisdizione, la pronuncia di incostituzionalità della norma sul cui presupposto il giudice ha deciso nel merito non ha effetto su quel processo poiché il rilievo del difetto di giurisdizione è ormai precluso.

2)    Artt. 13, comma 1, 110, comma 1, e 113, comma 1
I giudici tributari di primo e secondo grado dovrebbero esercitare il potere cautelare in base al fumus boni iuris e al danno grave, non anche irreparabile.
Infatti, il danno non può mai ritenersi irreparabile relativamente alle condanne al pagamento di somme (come nel settore tributario), posto che il denaro è sempre considerato un bene fungibile.
Inoltre, dovrebbero essere tutelati tempestivamente anche i diritti al rimborso del contribuente, eventualmente con garanzie fideiussorie.
Infatti, la norma in esame non individua specificamente né i presupposti, né gli effetti che si possono ottenere con il provvedimento d’urgenza, ma presuppone soltanto l’esistenza di un diritto da far valere, che sia oggetto di un pregiudizio grave (e non anche irreparabile).
Infine, è opportuno precisare che il giudice tributario, anche se decide di sollevare una questione di incostituzionalità, può sempre concedere la misura cautelare, ove logicamente ricorrano gli estremi del periculum in mora, «considerando il fumus boni iuris, pur se focalizzato nella non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale della norma ritenuta applicabile, a livello prognostico, com’è tipico delle deliberazioni che il giudice della cautela è in ogni caso demandato ad effettuare» (Glendi, in Corriere Tributario, n. 28/2012, pag. 2148).

3)    Art. 15, comma 3
Nella fase istruttoria, non bisogna porre alcun limite difensivo al contribuente, riconoscendo ogni mezzo di prova legale, compreso l’accertamento tecnico preventivo (artt. 696 e 696/bis c.p.c.), ad eccezione dell’interrogatorio formale (art. 228 e seguenti c.p.c.).
La confessione, così come il giuramento e la testimonianza, sono le classiche prove costituende e consistono nella dichiarazione orale sui fatti di causa.
La confessione, specificatamente, riguarda dichiarazioni della parte su fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all’altra parte e, come tale, non può essere consentita nel processo tributario, dove l’amministrazione finanziaria può utilizzare moltissimi dati e documenti, soprattutto di natura finanziaria, grazie alla potente anagrafe tributaria a disposizione.
Invece, nel processo tributario, oltre alla testimonianza (art. 244 e seguenti c.p.c.), deve essere ammesso il giuramento:
–    decisorio (artt. 233-239 c.p.c.), che si differenzia dalla confessione perché le dichiarazioni sono rese dalla parte alla quale i fatti non sono sfavorevoli, ma anzi favorevoli. Conseguenza di ciò è che il fondamento del giuramento non può formarsi, così come avviene per la confessione, sul fatto che si debbono ritenere veri i fatti che nuocciono alla parte che li dichiara, ma tale fondamento deve essere rintracciato nella solennità delle forme con cui avviene la dichiarazione giurata;
–    suppletorio (artt. 240-243 c.p.c.), che è quella forma di giuramento deferito dal giudice in caso di prova quasi completa (semiplena probatio) alla parte in favore della quale l’istruzione probatoria propende maggiormente.
In pratica, l’esaurimento delle prove assunte in corso di causa deve aver procurato una situazione di insufficienza degli elementi occorrenti per il convincimento, ovvero la contraddittorietà degli stessi, in relazione alla loro capacità di far considerare dimostrata l’uno o l’altra delle tesi portate in sede giudiziaria.
In definitiva, nel processo tributario, ad eccezione dell’interrogatorio formale, non si devono prevedere limiti di prova, anche perché non deve essere sacrificata l’attività difensiva del contribuente, che spesso deve contrastare accertamenti fiscali che obbligano all’inversione dell’onere della prova (come le indagini bancarie).
Infine, sarebbe opportuno abrogare l’art. 32, comma 4, DPR n. 600 del 29/09/1973, norma ormai obsoleta dopo 40 anni, in quanto il contribuente non deve essere condizionato nella strategia difensiva e processuale che ritiene opportuno adottare (Corte di Giustizia, sentenza del 18 ottobre 1982, nella causa 374/87, secondo cui, «non si può pertanto imporre all’impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali questa sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza della trasgressione»).