Quando si parla di customer journey (letteralmente “viaggio del cliente”) il riferimento è a quel percorso, relativo al marketing digitale, che ciascun utente compie su internet e che potrà condurlo a maturare una decisione di acquisto.
Si tratta, in buona sostanza, della storia che lega quel consumatore a una particolare azienda e che comprende sia tappe online che offline (dette “touchpoints”). Una disciplina articolata e complessa, in continua evoluzione, potenzialmente in grado di far ottenere importanti risultati di business.
Gli step del percorso e le sue evoluzioni
Un tempo il percorso che la persona si trovava a seguire per compiere degli acquisti era lineare e semplice: si cercava un oggetto e si trovava il rivenditore, dal quale poi ci si recava per comprare. Rivenditore che, a sua volta, sviluppava una rete di clienti affezionati puntando sul passaparola.
Era insomma sufficiente uno spot in tv oppure un investimento in cartellonistica stradale per promuovere prodotti e servizi. Prima del boom di internet, dunque, il customer journey si suddivideva in cinque step:
❏ awareness, la percezione di un bisogno;
❏ familiarity, in relazione a un prodotto;
❏ consideration, la ricerca di info per fare l’acquisto;
❏ purchase, ovvero l’acquisto in sé;
❏ loyalty, la fase post vendita e relativa fidelizzazione del cliente.
Oggi, però, le cose si sono complicate poiché sono intervenuti nuovi elementi digitali, come gli smartphone (ai quali affidiamo qualsiasi dubbio o quesito informativo), i social e i motori di ricerca. Il livello di personalizzazione dell’esperienza di navigazione – anche e soprattutto in fatto di pubblicità e advertising – è sempre più alto, per cui le aziende devono mettere in atto strategie sempre nuove.
Un esempio è quello delle strategie di native advertising per il web, che consentono di attirare l’attenzione degli utenti presentando i relativi contenuti come perfettamente integrati nella pagina dove compaiono (sia in relazione alla forma e all’aspetto che alla funzione).
L’utente, che è solitamente portato a “passare oltre” quando vede una pubblicità invasiva, accetterà di buon grado questi contenuti discreti e utili. Per un’azienda dunque inserire campagne di native advertising si rivelerà una scelta senz’altro performante.
Il ruolo dei touchpoints e l’importanza delle strategie aziendali
Ogni volta che navighiamo a caccia di info, prodotti e servizi lasciamo una traccia – i cookies – che viene incamerata dai browser. Servirà a “disegnare” l’identikit degli utenti (età anagrafica, luogo geografico) e le preferenze in fatto di acquisti. È da qui che i motori di ricerca partono per calibrare l’offerta di banner, annunci e video per invitarci all’acquisto.
Lungo il viaggio del consumatore vi sono molti “touchpoints”, che lo mettono in contatto con l’azienda e i suoi prodotti.
In quel momento deve scattare un meccanismo che faccia capire all’utente come il suo proposito possa essere soddisfatto da quel brand. I punti di contatto possono essere fisici (call center, tv, radio) o digitali (blog, e-mail, chat live): è l’azienda a gestire le strategie.
Le tempistiche con le quali l’anonimo utente si trasforma in cliente hanno un ruolo chiave: più aumentano i passaggi, più si perderà di vista lo scopo principale.