Recentemente il Garante della Privacy ha accolto il ricorso di un cittadino italiano residente negli Stati Uniti, ordinando a Google di deindicizzare gli url allo stesso riconducibili e risultanti dalla ricerca associata al suo nominativo, sia nelle versioni europee, che in quelle extraeuropee del motore di ricerca perché contenenti informazioni non più attuali e lesive della sua reputazione
Tra gli obiettivi strategici di un’impresa o di un’attività, oggi senz’altro ritroviamo quello di investire nella costruzione e nel posizionamento di un’immagine sul web dell’imprenditore o del professionista che sia forte e accattivante.
Quell’immagine deve però anche essere tutelata e salvaguardata, monitorandola e utilizzando tutti gli strumenti giuridici, informatici e di web communication che siano in grado di eliminare – o quantomeno ridurre sensibilmente – gli effetti negativi che vicende personali, giudiziarie, commenti diffamatori e recensioni negative inevitabilmente producono, offuscando quella stessa immagine e rendendola non più in linea con la realtà.
L’esigenza di tutela della propria immagine su Internet è divenuta sempre più impellente atteso che il web è di fatto il principale canale di raccolta esistente di informazioni (vere o meno che siano), nel senso che esso viene utilizzato prevalentemente come prima fonte di “conoscenza” di una persona, di un prodotto, di un’azienda, salvo poi opportunamente andare ad approfondire ciò che si ritiene rilevante.
In termini di business, una pessima reputazione su Internet può comportare un rischio di perdita di clienti potenziali, i “lead”, oppure può innescare “criticità” nelle relazioni d’affari o commerciali in essere, sia B2C che B2B.
Ma, attenzione: non si tratta di crearsi o far creare per noi, o per la nostra azienda o attività, una falsa reputazione.
Pensiamo alle false recensioni. Sul punto è da segnalare una sentenza storica del Tribunale penale di Lecce che si è pronunciato sul fenomeno dilagante della compravendita dei pacchetti di recensioni false su ristoranti e strutture di ospitalità in Italia, scritte sotto falsa identità, destinate alla piattaforma di TripAdvisor. Il Tribunale ha condannato a nove mesi di reclusione, oltre alla pena pecuniaria per truffa continuata (iniziata nel 2015), il titolare di un’agenzia di comunicazione dedita all’attività fraudolenta. TripAdvisor ha collaborato con gli inquirenti nel corso delle indagini, si è costituita parte civile contro l’agenzia nel conseguente processo e ha rimosso un migliaio di recensioni fake costruite a tavolino su pagamento dalla medesima agenzia. Attualmente sulla piattaforma gli iscritti sono invitati a collaborare fattivamente contro le recensioni-truffa, segnalando attraverso una e.mail dedicata quelle sospette. Va ricordato, peraltro, che per impedire ab origine che si formulino recensioni sotto falsa identità, occorrerebbe rinunciare al “privilegio-garanzia” dell’anonimato.
Sul piano, invece, dell’immagine personale sul web e del diritto all’oblio si sono fatti grossi passi in avanti. A partire dalla “codificazione” del cd. diritto ad essere dimenticati dalla rete attraverso l’art. 17 (“Diritto alla cancellazione”) del Regolamento Europeo della Privacy (Reg. UE 679/16) che ha trovato applicazione in Italia a far data dal 25 maggio 2018.
Ad oggi l’interessato ha, infatti, il diritto – normativamente previsto e tutelato – di ottenere dai motori di ricerca la “de-indicizzazione” di tutti gli url contenenti articoli, notizie, commenti contenenti informazioni non più attuali e lesive della propria reputazione. Tale diritto oggi prescinde dal mero “diritto ad essere dimenticato” dopo un certo lasso di tempo (per cui sarebbe invocabile soltanto per notizie ed in genere contenuti molto datati), configurandosi piuttosto come il diritto al corretto trattamento dei propri dati on line in termini di proporzionalità, necessità, pertinenza rispetto alla finalità per la quale a suo tempo sono stati raccolti.
Recentemente il Garante della Privacy, nel provvedimento n. 557 del 21 dicembre 2017, ha accolto il ricorso di un cittadino italiano residente negli Stati Uniti, ordinando a Google di deindicizzare gli url allo stesso riconducibili e risultanti dalla ricerca associata al suo nominativo, sia nelle versioni europee, che in quelle extraeuropee del motore di ricerca.
Il Garante ha ribadito anche in questo provvedimento che la costante associazione del nominativo di un interessato a risultati reperibili sul web dal contenuto non corretto, inesatto o comunque non più attuale, cioè non rispondente all’interesse attuale all’informazione costituzionalmente garantito, lede la sua sfera privata e professionale, con un impatto altamente negativo.
Il Garante ha così fatto riferimento alle Linee Guida dei Garanti UE del 26 novembre 2014 adottate a seguito della sentenza cd. Costeja della Corte di Giustizia europea (C-131/12, del 13 maggio 2014), le quali hanno stabilito che la de-indicizzazione di un risultato di ricerca è da ritenersi legittima se vi sono inesattezze in termini di circostanze oggettive e se ciò genera un’impressione inesatta, inadeguata o fuorviante rispetto alla persona interessata.
Va precisato che Google, oltre alle argomentazioni a sua difesa, aveva chiesto al Garante italiano la sospensione della decisione sul ricorso del cittadino italiano, atteso che la questione sulla deindicizzazione globale è ancora oggi all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-507/17) a seguito di deferimento effettuato in data 21 agosto 2017 dal Consiglio di Stato francese chiamato a decidere sull´opposizione presentata da Google avverso una decisione dell´Autorità di protezione dei dati francese (CNIL).
L’Autorità ha disatteso le richieste di Google, non ha sospeso il giudizio e al fine di rendere effettiva la tutela assicurata nel caso di specie al ricorrente, tenuto conto anche che quest´ultimo risiedeva al di fuori dell´Unione europea, ha ordinato al colosso americano la rimozione degli URL sia dalle versioni europee che extra europee dei risultati di ricerca.
Per la nostra Autorità Garante per la Protezione dei Dati personali, pertanto, il diritto all’oblio dei cittadini italiani va tutelato anche al di fuori dei confini europei.