Diritto di cronaca giudiziaria e diritto all’oblio, un rapporto “difficile”

Il dibattito più intenso attualmente sul tema ha ad oggetto il complesso bilanciamento tra la libertà di stampa e il diritto alla conservazione di materiale giornalistico per fini storici, da una parte, e il diritto del singolo di “essere dimenticato dal web” rispetto a vicende non più attuali, dall’altra

Right to be forgotten”, lo chiamano gli inglesi. É il cd. diritto all’oblio, il “diritto ad essere dimenticati dalla Rete”, che oggi trova puntuale riconoscimento normativo nell’art. 17 del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali (Reg. UE 679/16 – cd. GDPR), che in Italia ha trovato applicazione a far data dal 25 maggio 2018.

Ogni persona fisica ha il diritto di ottenere dai motori di ricerca la rimozione dei risultati negativi che essi associano al proprio nome e cognome: recensioni, notizie/informazioni false e diffamatorie, materiale video e fotografico lesivo della propria immagine, vicende giudiziarie in cui si è, direttamente o indirettamente, stati coinvolti. Qual è il fondamento di questo diritto? La più recente giurisprudenza ritiene trattasi di un diritto della persona a tutelare la propria reputazione, che è la proiezione sociale della propria identità. Ogni individuo ha, pertanto, il diritto acché informazioni non più attuali, ma, per contenuto, potenzialmente lesive della propria “immagine” non siano perennemente associate al proprio nominativo, considerato che a differenza della carta stampata, l’informazione/divulgazione on line è caratterizzata dalla reperibilità/accessibilità costante delle notizie, che molto spesso non sono aggiornate al positivo eventuale sviluppo delle vicende in esse trattate.

Il dibattito più intenso attualmente in tema di diritto all’oblio ha ad oggetto il difficile bilanciamento tra la libertà di stampa e il diritto alla conservazione di materiale giornalistico per fini storici, da una parte, e il diritto del singolo di “essere dimenticato dal web” rispetto a vicende non più attuali e che compromettono in qualche modo il proprio percorso personale e professionale.

In questo dibattito si inserisce il caso sottoposto di recente al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) riguardante la richiesta di due cittadini tedeschi di ottenere l’anonimizzazione dei propri dati personali all’interno del materiale giornalistico riguardante un assassinio di un noto attore commesso 25 anni prima e per i quali entrambi erano stati condannati all’ergastolo (28.6.2018, M.L e W.W.c. c/Germania). Sia il tribunale regionale, che la Corte di Appello, avevano riconosciuto come fondata l’istanza e quindi prevalente il diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata, riconosciuto e tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), per due ragioni: 1) veniva rispettato l’art. 10 CEDU che tutela la libertà di stampa perché era stata richiesta la trasformazione in forma anonima dei dati personali e non la cancellazione del materiale dell’archivio giornalistico; 2) il diritto all’informazione su quella vicenda non era più attuale, dato il decorso notevole del tempo dalla commissione del fatto. Occorre, infatti, considerare che una volta “espiata la pena” nei confronti della società civile, il soggetto ha il diritto ad essere reintegrato in quella stessa società e non discriminato per un passato anche assai discutibile, restando egli esposto sine die ai riflettori del “processo mediatico”. Successivamente la Corte federale tedesca ha ribaltato le decisioni delle corti inferiori sostenendo che il diritto all’oblio trova un limite rispetto ai reati oggetto di reportage perché si tratta di fatti criminosi di rilevanza nazionale tali da essere oggetto del cd. “diritto alla Storia”, cioè il diritto alla formazione e conservazione della memoria collettiva il cui esercizio viene, tra l’altro, assicurato gratuitamente dall’accessibilità agli archivi giornalistici on line.

La Corte EDU, adita dai due cittadini tedeschi, ha riconosciuto la legittimità della decisione della Corte Federale, confermando il proprio orientamento.
Essa, infatti, nel 2017 aveva rigettato il ricorso di un cittadino tedesco basato sul rifiuto da parte della Corte di Appello di Düsseldorf di far oscurare un articolo on line che ledeva la sua reputazione, avendo ad oggetto propri trascorsi burrascosi con la criminalità russa (19/10/2017, F. c/Germania, ric. 71233/2013). In sintesi, la Corte aveva escluso la violazione dell’art. 8 della CEDU nel caso di specie, ritenendo prevalente il diritto all’informazione (reso attuale da alcune vicende politiche riguardanti il ricorrente) e sottolineando il valore degli archivi on line quale «(..) importante fonte per l’educazione e la ricerca storica, soprattutto perché prontamente accessibili al pubblico e generalmente gratuiti».

Diversamente, tuttavia, dal caso dei due cittadini tedeschi condannati all’ergastolo, l’articolo oggetto del ricorso in questione riferiva non di fatti processuali, ma esclusivamente di risalenti sospetti di collusioni criminali che non avevano portato né ad una sentenza di condanna, tantomeno ad un processo. Vero è che, inspiegabilmente, non è stata formulata da parte del ricorrente la richiesta di de-indicizzazione dai motori di ricerca, come Google, dell’articolo lesivo contenente il proprio nominativo, richiesta che, se accolta, impedisce la reperibilità immediata di una notizia associata ad un dato nominativo e non implica la “modifica o cancellazione” della stessa dal sito sorgente. La richiesta di de-indicizzazione delle notizie dai motori di ricerca deve essere peraltro fondata sull’assenza dell’attualità del diritto all’informazione che, in sintesi, dipende dal decorso del tempo. Recentemente, il Tribunale di Milano ha valutato come tempo ragionevole ai fini dell’esercizio del diritto all’oblio quello dei quattro anni, ma è chiaro che trattasi di un criterio troppo rigido che complica anche di fatto l’attività di bilanciamento con altri diritti in gioco di pari grado, quali il diritto all’informazione (sentenza 28.3.2018, n. 3578). In novembre di quest’anno, con ordinanza della III sezione civile della Corte di Cassazione n. 28084, la questione è stata sottoposta alle Sezioni Unite della medesima Corte, a seguito del ricorso di un cittadino italiano che si era visto rigettare, sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello, la richiesta di rimozione dai motori di ricerca di un articolo on line pubblicato da un quotidiano locale, il quale ripercorrendo vicende criminali del passato, nel menzionare anche quella che lo aveva visto protagonista, ma per la quale egli aveva già scontato una pena detentiva di 12 anni, lo aveva nuovamente esposto a clamore mediatico proprio nella fase delicata e difficile del proprio reinserimento nella vita sociale.

Le Sezioni Unite dovranno fornire criteri inequivocabili di riferimento per permettere agli operatori del diritto di conoscere i presupposti fondanti la presentazione di una domanda tesa ad impedire l’ulteriore diffusione di una notizia legittimamente pubblicata nel passato, il tutto al fine di dare organicità e chiarezza all’assetto dei delicati rapporti tra diritto all’oblio e diritto di cronaca o manifestazione del pensiero.