La mostra – organizzata da Parallelo 42 Contemporary Art, in collaborazione con il Comune di Collecorvino negli spazi del Convento di San Patrignano (PE), visitabile fino al 05 febbraio 2015, e che si inserisce nell’ampio progetto Arte&Gusto – si pone come terreno fertile per l’organizzazione di progetti plurali e di dialoghi necessari a stabilire raccordi e connessioni tra culture e pensieri di diversa estrazione
L’arte ha il potere di risvegliare il cervello atrofizzato del mondo, ha il dovere sociale di leggere l’elettrocardiogramma della realtà, ha la facoltà di rigenerare e modificare lo stato delle cose per riflettere sulla quotidianità, per creare cortocircuiti costruttivi, per edificare ponti immaginifici con discipline eterogenee e con differenti ambiti del lavoro umano. Di un lavoro che è, per l’artista, sul piano della teoria e della pratica, misura critica, inchiesta ed esercizio di stile, lettura di un modello – il mondo della vita, appunto – in continuo divenire. L’arte ha, ancora, la possibilità di «dare sfogo alle angosce della propria epoca» ha suggerito Antonin Artaud (L’anarchie sociale de l’art). Di attraversare il presente per trovare risposte, formulare quesiti, avanzare rotte di viaggio utopiche, nuovi scenari etici, estetici, politici.
Su queste traiettorie la mostra DO UT DES. Bastiaan Arler | Elena Bellantoni | Bianco-Valente | Devrim Kadirbeyoğlu | Luigi Pagliarini – organizzata da Parallelo 42 Contemporary Art, in collaborazione con il Comune di Collecorvino negli spazi del Convento di San Patrignano (PE), fino al 05 febbraio 2015, e che si inserisce nell’ampio progetto Arte&Gusto – si pone come terreno fertile per l’organizzazione di progetti plurali e di dialoghi necessari a stabilire raccordi e connessioni tra culture e pensieri di diversa estrazione.
Partendo da una locuzione latina che indica, nell’ambito del diritto privato, un contratto di scambio, DO UT DES – letteralmente io do affinché tu dia e, in senso traslato, scambiamoci queste cose in maniera ben definita – si pone come uno spazio d’azione, un territorio simposiaco che trasfigura una formula giuridica della tarda epoca romana in un contratto immaginifico il cui scopo è quello di insegnare l’arte, di avvicinare la cittadinanza ai procedimenti linguistici del contemporaneo, di invogliare al multiloquio, ad una necessaria polifonia.
DO UT DES è, difatti, un progetto che, se da una parte muove – attraverso una permanenza settimanale nel territorio abruzzese – dal desiderio di creare rapporti di partecipazione tra l’artista e le varie energie dei luoghi d’accoglienza, dall’altra nasce dallo scambio orizzontale tra l’arte e la critica d’arte per rivalutare l’ipotesi di un dialogo felice, per concepire discussioni costruttive e altrettanto costruttive strutture contrattuali alla cui base è possibile rintracciare un nucleo processuale che si conclude nell’opera.
Un’opera che si pone, appunto, come luogo privilegiato di un racconto visivo, un raccordo tra il pensiero dell’artista e tutti i vari attori incontrati, conosciuti, esplorati. Con onestà e responsabilizzazione intellettuale, l’artista e il critico, assieme all’ambiente culturale e industriale del pescarese, strutturano dunque «un nesso di reciprocità» attraverso il quale una parte «trasferisce un diritto da ad un’altra o si obbliga ad effettuare una prestazione a favore di questa, in quanto a sua volta l’altra parte effettua o si obbliga ad effettuare una controprestazione» (Schlesinger-Torrente). Si tratta appunto di un lavoro di squadra, di una luminosa avventura che costruisce sinergie, punti di contatto, riflessioni, azioni, nuove avventure intellettuali.