L’uguaglianza di genere è una scelta che conviene, rispetto alla quale le imprese, però, hanno ancora molto da fare. Alessandra Puglisi, presidente del Comitato femminile Plurale di Confindustria Salerno, racconta gli esiti dello studio teso a misurare il grado di maturità nelle PMI in termini di parità di genere e a individuare le prospettive per colmare il gap di genere nei processi decisionali delle organizzazioni
Presidente, poche settimane fa – nel corso di un evento dedicato molto partecipato – ha presentato gli esiti di un’indagine sulla parità di genere nelle pmi. Emergono alcune chiare attitudini in atto tra le pmi e, altre, non ancora correttamente sviluppate. Che bilancio è possibile tracciare ad oggi?
Il primo dato da rimarcare è la buona presenza delle donne nelle organizzazioni, il 35% sul totale degli occupati. Ma non è il solo, fortunatamente. Le aziende che hanno dichiarato la maggiore presenza di investimenti in ricerca e sviluppo, la fanno coincidere con l’inventiva femminile, con un 30% circa di promozione di innovazioni, brevetti e applicazioni finali generati da donne. Non mancano le criticità su cui riflettere: dallo studio viene fuori ancora e purtroppo quanto gli investimenti per favorire la parità di genere non siano considerati strategici. Ricaduta di ciò il dato che vede le donne nel 10% della popolazione occupata in ruoli meno pagati. L’uguaglianza di genere è una scelta conveniente, sulla quale però siamo ancora molto indietro.
Sulla metodologia da seguire è stato necessario ingegnarsi data la scarsità di letteratura di riferimento. In che modo?
Abbiamo intrapreso un percorso innovativo, svolto nell’ambito del progetto europeo “R&I Peers”, per iniziare a misurare come vengono vissute la gender equality e la gender opportunity in un’ottica imprenditoriale in campo privato. A conti fatti, a oggi, in ambito di rendicontazione non finanziaria e di Social Responsability, non esistono linee guida per la redazione di un bilancio di genere nel contesto organizzativo delle PMI. Siamo state dunque pioniere nella definizione di criteri e modalità omogenei al fine di contribuire a colmare il gap esistente negli strumenti a disposizione delle organizzazioni e valorizzare il contributo delle imprese associate a Confindustria Salerno, a testimonianza dell’impegno in tema di sostenibilità sociale. Il bilancio di sostenibilità si focalizza infatti solo sul rapporto percentuale tra stipendio base/retribuzione media delle donne rispetto agli uomini e la diversità negli organi di governo e tra i dipendenti. Avevamo e avremo bisogno per le nostre pmi di una traccia più articolata. Per abbozzarla, allora, abbiamo riadattato tutti gli indicatori utili, mettendo insieme quelli per le certificazioni di genere nelle big companies, quelli che costituiscono alcune voci del GEI, l’indice che dal 2013 misura il progresso sull’uguaglianza di genere in Europa, più un altro centinaio di indicatori desunti dai lavori sul tema svolti dai nostri partner europei. Nell’indagine definitiva, sono stati 33 i nostri KPI. Un buon inizio che siamo certe di poter precisare nel futuro. Una grande opportunità che possiamo cogliere anche grazie al lavoro che, prima di me, hanno portato avanti Stefania Rinaldi e Alessandra Pedone che mi hanno preceduto nella Presidenza del Comitato.
Per il decisivo cambio di passo, allora, su quale ambito occorre spingere di più? Istruzione, formazione, educazione?
Il primo passo incompiuto al momento resta la mancanza di consapevolezza di quanto le donne siano un valore aggiunto e di quanto, in una fase in cui si sta ridisegnando il modello di sviluppo economico, possano essere un elemento strategico importante. La parità di genere non è ancora percepita come urgente, come un bisogno e un interesse per tutti. Un recente studio australiano, ad esempio, lo conferma: le società che nominano Amministratrici delegate, o che aumentano del 10% le componenti del CDA o del management, vedono crescere il loro valore azionario più del 6%. Questo accade perché grazie alla diversity i punti di vista sono bilanciati e le decisioni più flessibili, veloci ed efficaci. Occorre pertanto lavorare su più livelli – nelle famiglie, nelle scuole e poi nelle imprese – per una efficace prevenzione contro gli stereotipi, contro le discriminazioni di ogni sorta. Quello promosso dal Comitato Femminile Plurale di Confindustria Salerno vuole essere un lavoro corale e costante nel tempo. Se vogliamo generare un reale cambiamento, le forze in campo devono essere molteplici e la collaborazione quanto più ampia possibile.
Quali i prossimi step?
Di sicuro, ci impegneremo perché “Gep no Gap” non resti un evento isolato. Il confronto che abbiamo inaugurato quest’anno deve diventare in qualche modo rituale, così da essere la data in cui si fa il punto sul lavoro svolto nel corso di un anno e, nel tempo, misurare i progressi fatti. Per questo, stiamo già lavorando ad appuntamenti in qualche misura propedeutici e complementari, come il progetto di creatività – in collaborazione con il Gruppo Giovani Imprenditori – da portare nelle scuole elementari, attraverso il quale insegnare a partire dai banchi la parità e la prevenzione dai pregiudizi. Parallelamente, investiremo sempre più nella formazione con l’obiettivo di consolidare la managerialità femminile nelle aziende e nelle organizzazioni. Per le pmi deve essere sempre più chiaro che un ambiente inclusivo in azienda equivale ad ottenere vantaggi competitivi. Non è una solo questione etica, ma di visione imprenditoriale.