EBITDA E PFN NELLE OPERAZIONI DI M&A

In ambito M&A, si procede sempre ad una generale rivisitazione di EBITDA, finalizzata ad una sua normalizzazione

L’EBITDA (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation, and Amortization) e la PFN (Posizione Finanziaria Netta) ricoprono un ruolo primario, al fine di valutare le performance economiche e la salute finanziaria delle imprese. Questi due parametri sono tra i più usati sul mercato per la loro capacità di esprimere in modo sintetico e immediato lo stato di un’azienda, a beneficio dell’imprenditore, ma soprattutto dei terzi.

Per tali ragioni, essi rappresentano anche gli elementi presi a base per le più significative metodologie di valutazione d’azienda e, in particolare, per le cc.dd “stime sintetiche”. La più diffusa è quella che prevede la determinazione del valore di un’azienda, attraverso un multiplo – tipico del settore ove si opera – dell’EBITDA, da cui viene poi detratto l’ammontare della PFN alla data. Con questo calcolo si arriva al cc.dd. “Equity Value”, cioè il valore netto dell’impresa, che spesso non appare distante anche dal suo teorico prezzo di vendita.

Occorre precisare che, nei processi valutativi delle aziende, la metodologia del multiplo, di solito, viene usata come metodo di controllo dei risultati di una stima principale di natura analitica (DCF method, ad esempio), anziché come criterio base, a causa della sua estrema sinteticità, che può rischiare di non cogliere in pieno tutti gli elementi, positivi o negativi, della gestione aziendale. Nelle cosiddette operazioni di M&A, invece, accade spesso il contrario.

Il multiplo dell’EBITDA rappresenta il metodo con il quale il potenziale compratore (in possesso quasi sempre di limitate informazioni gestionali) identifica un possibile range di prezzo su cui imbastire una proposta di acquisto al potenziale venditore, demandando alla eventuale fase successiva delle due diligence finanziarie sull’impresa, la verifica della consistenza del prezzo offerto. Anche la determinazione della PFN non rimane indifferente allo scopo per cui si calcola, per le ragioni in seguito chiarite.

Tuttavia, se, da un lato EBITDA e PFN sono parametri essenziali (anche) per le operazioni di M&A, dall’altro lato occorre rimarcare che la loro esatta composizione non è stabilita da alcun provvedimento normativo, valevole per ogni fattispecie di utilizzo. Esistono certamente documenti redatti da Enti (Consob – ESMA), dove si è provato a darne una nomenclatura più precisa, ma tali lavori ancora si basano su una costruzione di natura empirica – se non prettamente convenzionale o negoziale.

La composizione dell’EBITDA e della PFN è stata recentemente trattata anche in un documento diffuso dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) in data 15 marzo 2024, in cui, con molti esempi pratici, si è provato a fissare alcune linee guida, soprattutto nelle operazioni di M&A. Questa esigenza di stabilire un criterio condiviso di calcolo, in particolare nelle operazioni di M&A, scaturisce dal fatto che i dati ricavabili dai documenti di bilancio non esprimono di solito un valore idoneo a costruire un accordo di compravendita, in quanto spesso influenzati da un insieme di fattori, eccezionali, non recurring o di difficile inquadramento contabile, che finiscono per alterarne significativamente l’affidabilità.

Ne consegue che, in ambito M&A, si procede sempre ad una generale rivisitazione di EBITDA finalizzata In ambito M&A, si procede sempre ad una generale rivisitazione di EBITDA, finalizzata ad una sua normalizzazione fisco N. 2 | 2024 27 ad una sua normalizzazione, escludendo componenti di costo o ricavo considerate anomale, inusuali e/o straordinarie, plusvalenze e minusvalenze, sopravvenienze e così via, così da giungere a un dato “normalizzato”, più efficace ai fini di una trattativa di acquisto.

Ugualmente, per quanto riguarda la PFN. In sede di operazioni straordinarie, in pratica, la misurazione dell’EBITDA e della PFN tende a ottenere un risultato più “puro” ed effettivo, rispetto a quello riveniente dalla mera lettura tradizionale della performance aziendale. Questa “asimmetria di analisi” inoltre, comportando la necessità di apportare rettifiche e aggiustamenti ai dati di bilancio, genera sempre una dialettica negoziale, in cui gli interessi delle parti si presentano contrapposti.

Il Rapporto CNDCEC, ponendosi l’obiettivo di provare a limitare la discrezionalità e quindi i contrasti negoziali, porta vari esempi, sia di EBITDA normalizzato, o “EBITDA adjusted” o “EBITDA underlying, sia di PFN “rettificata”, qui in seguito descritti. Le svalutazioni delle immobilizzazioni devono essere escluse dal calcolo dell’EBITDA, poiché riflettono una perdita di valore economico del bene senza manifestazione monetaria. Le svalutazioni dei crediti invece, rappresentando mancate entrate di cassa, rimangono nei costi della produzione.

Per gli accantonamenti per rischi invece la valutazione è più articolata: devono essere inclusi o esclusi: (i) a seconda della probabilità che un determinato evento possa verificarsi; (ii) ovvero in base alla loro tipologia. A titolo esemplificativo, un accantonamento effettuato per garanzie a fronte di restituzione di merce invenduta dovrebbe essere incluso nell’EBITDA, poiché rientra nella gestione ricorrente, mentre un accontamento a fronte di una specifica causa legale, essendo un evento non ricorrente, andrebbe escluso.

Tuttavia, il fondo correlativo dovrebbe essere inserito nel calcolo della PFN. Ovviamente i canoni di leasing finanziario devono essere esclusi dall’EBITDA per mantenere coerenza con la definizione di PFN rettificata (sotto OIC), che include il debito residuo dei contratti di leasing finanziario. I costi e i ricavi con parti correlate devono invece essere oggetto di una verifica di congruità, in quanto – mancando il requisito dell’indipendenza tra le parti – potrebbero alterare la “normale” generazione di cassa, laddove non in linea coi prezzi di mercato.

Il report si sofferma anche su determinate voci di costo di fonte famigliare, o costi discrezionali (come spese di rappresentanza o benefit erogati all’imprenditore e ai suoi familiari), che possono invece essere esclusi dall’EBITDA, in quanto non strettamente funzionali all’operatività aziendale. Nella determinazione della PFN rettificata, una tematica dibattuta è rappresentata dall’inclusione o meno del debito TFR e similari.

Nella riclassificazione finanziaria dello Stato patrimoniale con il criterio della pertinenza gestionale, infatti, si sostiene in dottrina che il TFR, derivando da costi gestionali, non dovrebbe essere incluso nel calcolo della PFN. Un approccio più internazionale e maggiormente diffuso, si basa invece sull’inclusione (talvolta in parte) del TFR nella PFN, in quanto si tratta di una forma di autofinanziamento dell’impresa e la stessa previsione di legge che ne prevede la rivalutazione annuale confermerebbe la sua natura finanziaria.

Le altre voci più comuni soggette a rettifica sono i debiti scaduti di natura commerciale o diversi (fiscali, previdenziali, ecc.), che per natura non rientrerebbero nella base di calcolo della PFN, bensì nel capitale circolante netto. La questione aperta su tale posta è la durata dello scaduto, non essendo infatti equo inserire in PFN uno scaduto da un solo giorno. Una ulteriore eccezione viene riservata ai debiti infruttiferi intercompany, qualora quest’ultimi si configurino come prestiti concessi dalla controllante alla controllata, che vanno ricompresi nella PFN, pur in assenza di interessi passivi.

Il tema dibattuto, in questo caso, è la potenziale asimmetria con l’istituto civilistico della postergazione., che dovrebbe indurre – a talune condizioni – ad escludere il debito dalla PFN. Sul lato liquidità, rimane qualche incertezza per i crediti d’imposta, sui quali c’è la prassi di considerarli inclusi nella PFN solo se richiesti a rimborso, oppure compensabili nel breve con debiti d’imposta.

In queste operazioni di rettifica, infine, occorre prestare attenzione a non incorrere nel “double counting”, conteggiando un determinato evento, sia ai fini dell’EBITDA, sia ai fini della PFN (il caso tipico è il TFR: se viene considerato debito, il relativo accantonamento annuale non deve rientrare nell’EBIDTA).

Dalla breve disamina delle fattispecie analizzate dal Report sui necessari aggiustamenti di EBIDTA/PFN, il tasso di discrezionalità resta purtroppo ancora alto. Ne consegue che, fino a quando non si avrà (se mai si avrà) un panel di riferimento ufficiale e obbligatorio, molto continuerà ad essere lasciato sostanzialmente alla volontà delle parti o, meglio, alla loro capacità negoziale.