Uno studio di SRM stima che il fatturato totale prodotto dalle 330 imprese italiane presenti in tutte le 36 Free Zone degli Emirati Arabi Uniti sia pari a circa 650 milioni di dollari
Sono numerose le imprese occidentali che decidono di trasferire parte delle loro produzioni o fasi produttive in altri Paesi, dove creano nuove realtà societarie di diritto locale che operano in stretto collegamento con le case-madri in Occidente.
Questa tendenza riguarda imprese appartenenti a tutti i settori produttivi, seppur con grandi differenze tra i vari comparti. Le ragioni che inducono un numero sempre maggiore di imprese a varcare i confini nazionali sono diverse. Vanno dal contenimento dei costi di produzione alla disponibilità di materie prime, fino al presidio di mercati altamente profittevoli.
Oltre a queste realtà, esiste un nutrito gruppo di grandi operatori multinazionali, con base in Occidente e dotati di un consolidato know-how in comparti specifici, che lavora in molti Paesi emergenti nel settore delle grandi opere infrastrutturali, quali strade, ferrovie, porti e piattaforme petrolifere, pur non avendo una presenza stabile in loco.
Quanto alla “geografia” delle delocalizzazioni, anche in questo caso esistono profonde differenze tra le imprese internazionalizzate.
Quelle appartenenti a settori tradizionali, che puntano sul contenimento dei costi di produzione, scelgono Paesi con un basso reddito pro-capite della popolazione, mentre quelle con produzioni a maggiore valore aggiunto optano per destinazioni in cui la manodopera è altamente qualificata, pur se costosa, sfruttando l’opportunità di una presenza più vicina ai mercati di destinazione finale.
In tale contesto, alcuni tra i Paesi del Mediterraneo extra-Ue e del Golfo (c.d. Mediterraneo Allargato, un’area che comprende Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Oman) rappresentano sempre di più Paesi-target per investimenti produttivi da parte di imprese occidentali in generale, e italiane in particolare; le esigenze delle imprese in materia di contenimento dei costi, di presidio dei mercati di sbocco e di approvvigionamento di materie prime di cui si è detto, si sposano perfettamente con i ricchi pacchetti di incentivi che molti dei Paesi dell’area mettono a disposizione per attirare investimenti dall’estero e inspessire il proprio tessuto produttivo.
Tra questi, gli Emirati Arabi Uniti costituiscono una delle destinazioni più attrattive degli ultimi anni.
Vediamo perché.
Il grado di apertura internazionale dell’economia emiratina – una misura del livello di integrazione del Paese nel commercio mondiale – è molto elevato ed è cresciuto costantemente nell’ultimo ventennio; l’incidenza del commercio estero sul Pil ha toccato infatti il 160% nel 2014 (era pari all’80% nel 1995).
Con riferimento alle sole esportazioni, nel corso di questo lasso di tempo è variata la composizione merceologica dell’export emiratino: l’incidenza dei prodotti energetici è passata da oltre il 70% nel 1995 al 58% attuale, a indicare il crescente ruolo degli Emirati quale hub di produzione e trading di manufatti.
Una fetta importante delle importazioni degli Emirati viene riesportato in altri Paesi, configurando gli EAU come uno dei principali trading hub a livello mondiale. In particolare, gli Emirati sono il terzo hub commerciale di re-export al mondo dopo Hong Kong e Singapore: il 33,9% delle importazioni degli Emirati viene riesportato verso altri mercati di sbocco; con riferimento ai primi 6 mesi del 2014 la percentuale di importazioni riesportata è stata pari al 46,3%. Lo stock di Investimenti Diretti Esteri (IDE) negli EAU è risultato pari a 105,5 miliardi di dollari nel 2013, valore inferiore solo a quello registrato
dall’Arabia Saudita tra i paesi del Gulf Cooperation Council (GCC), e pari a circa ¼ dello stock di IDE in Italia. In termini pro-capite, lo stock di IDE è pari a 11.288 dollari per ogni abitante, dato quasi doppio rispetto all’Italia. Lo stock di IDE negli Emirati è pari al 26,9% in proporzione al PIL, dato superiore a quello registrato per l’Italia (19,5%). Nel periodo 2003-2013 lo stock di IDE negli EAU è fortemente cresciuto, da 6,6 a 105,5 miliardi di dollari; in percentuale del Pil il dato è passato da 5,3% nel 2003 a 26,9% nel 2013. Per quanto riguarda la distribuzione settoriale degli IDE negli EAU, il settore immobiliare, quello del commercio all’ingrosso e al dettaglio e l’intermediazione finanziaria sono quelli più importanti.
Complessivamente la loro incidenza sul totale degli IDE negli EAU è pari al 70%.
Le Free Zone come fattore di attrattiva
Un potente strumento attraverso cui gli Emirati riescono ad attrarre investimenti produttivi sul loro territorio, in grado di condurre il Paese verso il raggiungimento dei propri obiettivi strategici in campo economico-imprenditoriale, è rappresentato dalle Free Zone o Zone Economiche Speciali (ZES). Secondo the Economist Intelligence Unit, le ZES di maggior successo al mondo sono negli Emirati Arabi Uniti con 23 di queste posizionate nella classifica mondiale delle top 50 dove operano quasi il 60% delle imprese più grandi al mondo. Anche le ZES degli Emirati Arabi Uniti, prima fra tutte la Jebel Ali Free Zone di Dubai, sono state create allo scopo di facilitare gli investimenti stranieri. Di conseguenza le procedure per insediarsi in queste aree sono relativamente semplici e veloci. Attualmente esistono trentasei Free Zone all’interno del territorio degli Emirati; alcune sono “generaliste”, consentendo lo svolgimento di qualsiasi attività economica o commerciale, altre sono “specialistiche”.
Per quanto concerne il numero di imprese italiane che operano negli EAU, SRM ha effettuato una stima che fa riferimento alle imprese presenti nelle trentasei Free Zone degli Emirati. Sono 330 le imprese italiane, un numero che include tutti i tipi di realtà societarie previste dalla normativa per le Free Zone e tutti i settori di attività, dal manifatturiero al commercio ai servizi di consulenza; leggermente superiore la presenza di imprese tedesche all’interno delle Free Zone degli EAU: sono circa quattrocento.
Considerando l’incidenza delle Free Zone sull’economia degli Emirati a Dubai, in particolare, quasi 1/3 del Pil dell’Emirato viene realizzato all’interno delle Free Zone – si stima che il fatturato totale prodotto dalle 330 imprese italiane presenti in tutte le 36 Free Zone degli Emirati Arabi Uniti sia pari a circa 650 milioni di dollari; per le 400 imprese tedesche presenti nelle Free Zone si stima un fatturato pari a oltre 900 milioni di dollari.