Dall’indagine del Centro Studi Confindustria per tornare a crescere è necessario rimuovere gli ostacoli che da troppo tempo invalidano le performance economiche del nostro Paese: il credit crunch, la perdita di competitività, la distruzione di capacità produttiva, la fragilità dell’edilizia, l’erosa propensione al risparmio delle famiglie, il debole mercato del lavoro.
La mano sul fuoco non ce la mette nessuno, tanto meno il Centro Studi di Confindustria, ma ieri – 27 giugno, ndr – nel corso del seminario in cui è stata presentata la nuova edizione di Scenari Economici – proprio il CSC ha annunciato che, dopo sei anni di buio fitto, per il nostro Paese si potrebbe cominciare a intravedere uno spiraglio di risalita, anche se «le evidenze sparse non costituiscono solide fondamenta per prevederla».
Drammatico il saldo di quanti in questi sei anni hanno perso il posto di lavoro: ben 700mila, bilancio destinato a toccare quota 817mila per la fine del 2014.
Il calo del dato statistico delle “unità di lavoro”, con Cig e riduzioni orarie, «sfiorava 1,7 mln nel primo trimestre 2013 e sfiorerà 1,8 milioni nel secondo 2014».
Tutto il 2013 sarà a tinte fosche: il Csc prevede per quest’anno un crollo dell’1,9% a fronte della più positiva stima del -1,1%. Non vanno meglio i consumi, che «arretreranno di un altro 3% e di uno 0,3% nel prossimo, totalizzando un -8,1% dal 2007».
Interessante, anche se debole, il miglioramento del rapporto deficit/Pil che si attesterà al 3% nel 2013 e al 2,6% nel 2014. Il rapporto Debito/pil sarà, invece, a 131,7% nel 2013 e a 132,4% nel 2014 con un disavanzo strutturale che «raggiungerà lo 0,5% nel 2013, dall’1,6% del pil registrato lo scorso anno, e rimarrà stabile nel 2014. Ciò significa che l’Italia sarà molto vicina al pareggio che, appena raggiunto, libererà ulteriori risorse legate all’alleggerimento dei vincoli imposti dalla disciplina sulla spesa pubblica, introdotta con la riforma di governance economica europea».
La crescita ci sarà se saranno potenziate le cinque forze favorevoli al nostro sistema economico: minor costo dell’energia, la conferma dei progressi nel contesto globale, l’affievolimento delle misure di austerity, una maggiore stabilità di azione del Governo orientata alla crescita e il cauto rinsaldarsi della fiducia. Per contro, dovranno invece essere rimossi del tutto – o quanto meno fortemente mitigati – gli ostacoli che allontano il buon vento e che da anni ormai invalidano le performance del nostro Paese: il credit crunch, la perdita di competitività, la distruzione di capacità produttiva, la fragilità dell’edilizia, l’erosa propensione al risparmio delle famiglie, il debole mercato del lavoro.
Il Rapporto del Centro Studi Confindustria analizza poi con minuzia le dinamiche relative all’export che, fortunatamente, fanno registrare livelli di espansione confortanti: +1,3% quest’anno e +2,6% il 2014.
Ciononostante, viene rimarcato come il nostro Paese «sia ancora indietro rispetto ai principali paesi europei. Nel 2011 lo stock di IDE in uscita, in percentuale del PIL, era meno della metà di quello medio nell’Unione Europea e molto inferiore a quello di Germania, Francia e Spagna. Tuttavia, gli IDE italiani in uscita sono saliti rapidamente nel tempo e si stanno orientando verso nuovi settori».
I limiti si riscontrano soprattutto in merito alla mancanza di rete finanziaria, capitale umano e istituzioni strutturate in modo da poter coadiuvare nei processi di internazionalizzazione le Aziende. La zavorra più gravosa è però ancora la malaburocrazia e, con essa, l’agire sparso e non coordinato delle istituzioni che spesso riproducono attività e iniziative con un notevole dispendio di energie, risorse e risultati di ridotta entità.
Nel merito, il Centro Studi Confindustria suggerisce una soluzione operativa che potrebbe portare con sé notevoli vantaggi: la creazione di un’unica “banca per l’export” che raggruppi i vari soggetti attualmente coinvolti, sulla scorta della lezione dei principali paesi avanzati.