Quali spese, e in quale percentuale, sono detraibili per le aziende che partecipano a Expo 2015? L’Esposizione Universale è anche una enorme fiera del food, con una presenza imponente di aziende del settore. Ma che trattamento fiscale hanno le spese inerenti tali tipi di eventi?
In linea di principio, i costi relativi a tali eventi vengono suddivisi in tre grandi macro categorie: Spese di rappresentanza; Spese di pubblicità; Spese commerciali. Secondo il D.M. del 19 novembre 2008 (il “DM”), si definiscono spese di rappresentanza:
– i costi di beni e servizi che sono erogati a terzi a titolo gratuito, senza obbligo di controprestazione;
– aventi finalità promozionali o di pubbliche relazioni in senso lato;
– il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza e abbia l’obiettivo di produrre benefici per l’impresa.
Tuttavia, l’assenza di corrispettivo non deve far assorbire nelle spese di rappresentanza ogni operazione a titolo gratuito, ma solo quelle aventi anche gli altri requisiti sopra citati. Infatti, non sono costi qualificabili come spese di rappresentanza (ad esempio):
• i beni distribuiti gratuitamente in occasione di concorsi a premio;
• gli oggetti promozionali consegnati ai clienti contestualmente ai prodotti venduti;
• gli sconti;
• le politiche di vendita “tre per due”.
Poi, secondo la Relazione illustrativa al DM, la finalità promozionale consiste nella divulgazione sul mercato delle attività dalla società, mentre le pubbliche relazioni consistono nell’attività necessaria a mantenere i rapporti con i rappresentanti della società civile, Istituzioni, Mercato, ecc.. Non bisogna dimenticare, infine, che l’ammontare delle spese non deve essere irragionevole rispetto alla finalità sopra descritta e deve sempre essere presente un legame, seppur generico, con l’obiettivo di dare benefici economici all’impresa.
Tale legame, in un certo senso, può presumersi ove la spesa sia coerente con pratiche commerciali di settore. Diversamente il costo è indeducibile in assoluto.
Il DM individua anche talune spese che, pur avendo natura di spese di intrattenimento in senso ampio (e quindi, in teoria, indeducibili per difetto di inerenza), possono considerarsi attinenti all’attività dell’impresa:
• spese per viaggi turistici in occasione dei quali siano in concreto svolte attività promozionali;
• spese per feste e altri eventi organizzati in occasione di ricorrenze aziendali o festività ovvero di inaugurazioni di nuove sedi, uffici o stabilimenti;
• spese per feste e altri eventi organizzati in occasione di fiere ed eventi simili.
Le spese di rappresentanza, tuttavia, non sono deducibili tout court, ma nei limiti di un preciso plafond parametrato all’ammontare dei ricavi della gestione caratteristica dichiarati nel periodo d’imposta in cui le stesse sono sostenute. Come stabilito dall’art. 1, co. 2, del DM, le spese di rappresentanza sono deducibili nei seguenti limiti:
a) 1,3 per cento fino a 10 milioni di Euro di ricavi (130.000 euro);
b) 0,5 per cento per la parte che eccede i 10 milioni e fino a 50 milioni di Euro di ricavi (200.000 euro);
c) 0,1 per cento per la parte che eccede i 50 milioni di Euro di ricavi.
Ne consegue che, per una azienda con 50 milioni di fatturato, il plafond di deducibilità è pari ad euro 330.000. La parte di spesa eccedente, è indeducibile in via permanente dal reddito di impresa. Si precisa che lo schema del DLGS sulla internazionalizzazione ha innalzato la soglia di deducibilità (1,5 per cento per il primo scaglione, 0,6 per cento per il secondo scaglione e 0,4 per cento per il terzo scaglione).
Le spese di pubblicità, invece, sono quelle sostenute in forza di un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa va ricercata nell’obbligo della controparte di pubblicizzare/ propagandare, a fronte della percezione di un corrispettivo, il marchio e/o il prodotto dell’impresa al fine di stimolarne la domanda.
Quindi, occorre un rapporto sinallagmatico, la pubblicità di un marchio o di un prodotto/servizio e un collegamento con un mercato anche potenziale. Si precisa a tal proposito che la Giurisprudenza e la prassi più accreditata hanno affermato che, per aversi spesa di propaganda (e non spesa di rappresentanza), occorre che la manifestazione sponsorizzata, sia rivolta ad un pubblico, in grado, anche in via potenziale, di fruire dei beni dello sponsor.
L’inerenza si presume in ogni caso (ex art.90 Legge 289/02) invece, per le sponsorizzazioni a favore di associazioni sportive dilettantistiche per attività giovanili riconosciute dalle Federazioni nazionali, nei limiti di euro 200mila.
Le spese di pubblicità sono integralmente deducibili dal reddito d’impresa, senza soggiacere a limiti quantitativi, tenendo conto, per le prestazioni continuative, dell’imputazione secondo il pro rata temporis. Le spese commerciali in senso lato possono sovrapporsi, talvolta, a quelle di rappresentanza, quando sono caratterizzate dalla gratuità nei confronti di coloro che ne beneficiano, sempre che entrambe abbiano come obiettivo lo sviluppo delle vendite.
Affinché queste non ricadano sotto la scure fiscale, occorre che il link con lo sviluppo commerciale sia diretto, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. Sono pertanto ammesse le spese commerciali – le cosiddette “spese di ospitalità”, sostenute per ospitare clienti o fornitori, anche potenziali, in occasione di fiere ed esposizioni – in cui sono pubblicizzati i beni dell’impresa, ovvero per visite a sedi dell’impresa.
Come pure sono costi commerciali le spese sostenute per l’allestimento di stand espositivi in fiere dedicate a prodotti dell’impresa, nonché gli inerenti costi di preparazione. Ciò in quanto, la platea è rappresentata da interlocutori diretti dell’azienda, e la finalità anche teorica degli incontri è quella di “chiudere” accordi commerciali.
Sono costi che l’impresa sostiene nel proprio interesse, senza alcuna ragione di liberalità, caratterizzati da un univoco vincolo di inerenza in rapporto ai ricavi generati che ne sancisce la deducibilità.