FONDAZIONE GIMBE, Cartabellotta: «L’autonomia differenziata sarà il colpo di grazia al SSN»

Nino Cartabellotta, presidente Fondazione GIMBE

La cura giusta per rimettere in salute la nostra sanità è altra: «Va rilanciato innanzitutto il finanziamento pubblico per allinearlo almeno alla media dei paesi europei»

 

Presidente, per spesa sanitaria pubblica pro-capite, l’Italia si colloca solo al 16° posto tra i 27 Paesi europei dell’area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. Quali riforme sarebbero necessarie e urgenti per garantire a tutti i cittadini la tutela della salute?

La spesa sanitaria pubblica italiana rappresenta solo il 6,2% del PIL, rispetto ad una media OCSE del 6,9% e una media europea del 6,8%. In questo contesto di definanziamento, non sono state solo le opposizioni a presentare disegni di legge per aumentare questo valore, ma anche il Ministro Schillaci ha sottolineato la necessità di portarlo almeno al 7%. Per garantire un accesso equo alle cure, è essenziale un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico per la sanità, oltre che coraggiose riforme di sistema per garantire a tutti la tutela della salute, un diritto costituzionale fondamentale e inalienabile. La sanità è diventata oggi per tutti una priorità assoluta perché la vita quotidiana delle persone è sempre più gravata da vari problemi: interminabili tempi di attesa per visite ed esami, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure. La Fondazione GIMBE, con il Piano di Rilancio del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ha da tempo indicato la terapia per curare il nostro SSN: rilanciare progressivamente il finanziamento pubblico per allinearlo almeno alla media dei paesi europei; potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni; garantire l’aggiornamento continuo dei livelli essenziali di assistenza per rendere subito accessibili le innovazioni, oltre che esigibili su tutto il territorio nazionale; rilanciare le politiche sul personale sanitario; riprogrammare l’offerta dei servizi socio-sanitari in relazione ai reali bisogni di salute della popolazione; regolamentare il rapporto pubblico-privato e la sanità integrativa; investire in prevenzione e promozione della salute; potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche; aumentare le risorse per la ricerca indipendente; rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie.

Il vostro osservatorio registra una persistente criticità legata alla carenza di Medici di Medicina Generale (MMG), in prospettiva sempre più preoccupante al Sud. La sua Fondazione quali misure di contrasto ritiene sarebbero efficaci?

Nel 2026 tutte le Regioni del Sud, ad eccezione del Molise, sconteranno la più pesante riduzione di Medici di Medicina Generale. La progressiva carenza di MMG consegue sia ad errori nella pianificazione del ricambio generazionale, ovvero la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e finanziamento delle borse di studio, sia a politiche sindacali non sempre lineari. E le soluzioni attuate, quali l’innalzamento dell’età pensionabile, la possibilità per gli iscritti al Corso di Formazione in Medicina Generale di acquisire sino a 1.000 assistiti e le deroghe regionali all’aumento del massimale, servono solo a “tamponare” le criticità, senza risolvere il problema alla radice. Occorre dunque mettere in campo al più presto una strategia multifattoriale: adeguata programmazione del fabbisogno, tempestiva pubblicazione da parte delle Regioni dei bandi per le borse di studio, adozione di modelli organizzativi che promuovano il lavoro in team, effettiva realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR, accordi sindacali in linea con la necessità di un ricambio generazionale e di una capillare distribuzione dei MMG.

Cresce al Sud anche la mobilità passiva, per cui sempre più cittadini si spostano dal luogo di residenza per curarsi altrove. Che dimensioni ha questo fenomeno?

Le regioni del Nord continuano ad esercitare una forte capacità attrattiva, a fronte di quella estremamente limitata delle regioni del Centro-Sud. In particolare, tra il 2012 e il 2021, 14 regioni hanno accumulato un saldo negativo complessivo di 14,56 miliardi, di cui 10,96 miliardi di euro solo nelle Regioni del Mezzogiorno. Le cinque Regioni con i saldi negativi più elevati, superiori a 1 miliardo, sono tutte del Centro-Sud: Campania (-2,77 miliardi), Calabria (-2,47 miliardi di euro), Lazio (-2,22 miliardi), Sicilia (-1,95 miliardi) e Puglia (-1,75 miliardi di euro). Questo squilibrio aggrava le disparità territoriali, penalizzando ulteriormente i sistemi sanitari, già fragili, del Sud.Il fenomeno della migrazione sanitaria è destinato ad intensificarsi, con un crescente numero di pazienti che si sposteranno dal Sud al Nord in cerca di cure migliori, contribuendo a sovraccaricare i sistemi sanitari delle regioni settentrionali che a loro volta rischiano di limitare l’accesso alle prestazioni sanitarie per i propri residenti. Serve un piano strategico per potenziare l’offerta di servizi al Sud, al fine di ridurre la migrazione sanitaria e promuovere un accesso più equo alle cure su tutto il territorio nazionale.

In parallelo negli ultimi anni tanti italiani hanno deciso di rinunciare alla prevenzione, in termini di erogazione di prestazioni essenziali. Che valore potrà avere, rispetto a questa criticità, il decreto liste d’attesa?

Al momento è impossibile fare previsioni. Si attendono almeno sette decreti attuativi e i tempi di attuazione delle misure previste sono medio-lunghi: ovvero i benefici per i cittadini non saranno immediati. Peraltro, come Fondazione GIMBE abbiamo già espresso in sede di audizione parlamentare numerose perplessità sulla potenziale efficacia del DL che prevede solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta: una strategia perdente perché, esaurito nel breve periodo l’“effetto spugna”, l’incremento dell’offerta poi induce un ulteriore aumento della domanda.

Inoltre il DL è carente di interventi efficaci per risolvere i problemi strutturali del SSN che alimentano l’allungamento delle liste di attesa. Queste rappresentano il sintomo più evidente di un indebolimento organizzativo e soprattutto professionale per risolvere il quale sono necessari consistenti investimenti e coraggiose riforme. In particolare, investendo sul personale sanitario e aumentando l’attrattività del SSN.

Il DL invece, puntando sulla defiscalizzazione degli straordinari (più lavori, più ti pago), rischia di stremare il personale già in servizio, alimentando ulteriormente la fuga dei professionisti dal SSN.

Lei sostiene con fermezza che l’autonomia differenziata in ambito sanitario aggraverebbe ineluttabilmente le disuguaglianze interregionali. Perché e quali sviluppi crede avrà la legge? Si arriverà al referendum abrogativo?

Lo spero vivamente, anche perché rappresenta l’unica possibilità di ottenere le richieste fatte in sede istituzionale: ovvero escludere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Purtroppo questa istanza non è stata accolta dalla maggioranza, né sostenuta con fermezza dalle opposizioni. L’attribuzione di maggiori autonomie rafforzerà le ricche Regioni del Nord, indebolendo ulteriormente quelle del Sud.

Alcuni esempi: la maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale provocherà una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose, impoverendo così il capitale umano del Mezzogiorno; l’autonomia nella definizione del numero di borse di studio per scuole di specializzazione e medici di medicina generale genererà una distribuzione asimmetrica di specialisti e medici di famiglia; le maggiori autonomie sul sistema tariffario rischiano di aumentare le diseguaglianze nell’offerta dei servizi e favorire l’avanzata del privato. Ecco perché in questo contesto l’autonomia differenziata, non solo affosserà definitivamente la sanità del Sud, ma darà anche il colpo di grazia al SSN.