Tanti i concetti da svecchiare, tanti altri quelli da recuperare in uno scenario – quello dell’editoria elettronica – in febbrile e continuo cambiamento
La questione è già antica.
Nel suo nascere essa ci appare confusa, provata, forse da un entusiasmo che è calato in ogni sua binomia, a quel tempo “felice” nella sua apparente stranezza di convivenza: industria culturale e macchina. Dagli anni ’50 la nostra letteratura civile si riempie di dibattiti tutt’attorno al passato-presente-futuro, a proposito di quale evoluzione. Di quanto, cioè, la sensibilità materica, scientifica non possa dirsi altro dalla sensibilità umana materiale espressa attraverso il linguaggio. Il punto zero di oggi è la lacuna, da sempre considera distanza, che tale non è: è la lacuna tra quello e questo, nel punto esatto, quello zero, dove si perde il filo della continuità.
L’editoria elettronica era già prevista: l’avanzo di un testo che si squilibrasse nelle sue parti e rimandasse continuamente a circuiti d’alterità sonora, visiva, tattile. Ma parlarne senza provare le parole genera “le nul”, appunto lo zero. Il grado. E così per l’editoria elettronica. La rete è divenuta il luogo “aperto” dove intendere in un solo contenitore lo spazio di tutte le funzionalità testuali. Ma ne siamo proprio certi?
La rete oggi ha in sé l’urbanistica edificata sulle parole: più di qualità, meno crollabile. Più visitata, più resistente. Senz’altro ciò che oggi si muove su un versante inqualificabile, per certi aspetti, oltre quello digitale (nuovo, nuovissimo, avanguardistico, sperimentale, cybernetico, elettronico c’appaiono obsoleti) iniziava cinquant’anni fa. Dove siamo noi? Cinquant’anni dopo, a ricominciare dibattiti su un altro punto: l’oggetto libro. Tuttavia se col digitale (e-book, e-reader) la forma si stacca dal contenuto, il dibattito coinvolge un altro punto: la scrittura (contenuto) e, un altro punto ancora, la forma (dove abita la scrittura). Nella forma rientrano: design, grafica, paratesto, epitesto, informatica, marketing, comunicazione, packaging…i punti si triplicano.
Non varrebbe la pena riprendere concetti come funzionalità e usabilità riferendoci congiuntamente a contenuto e forma?
V’è poi un’altra questione: che fine fanno tutte quelle competenze che un tempo servivano alla produzione, al trasporto, alla vendita dei libri? Che nome dargli? Ecco un’altra domanda. Si riscrivono? Probabile. O si incorporano? Possibile.