Il nuovo presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, Marco Gay, chiede che l’impresa torni al centro dell’azione politica. «Per la mia parte – dichiara – lavorerò perché il Movimento dei GI diventi la casa di chi vuole mettersi alla prova sfidando i propri sogni per poterli trasformare in obiettivi»
Presidente, la sua avventura di imprenditore parte dal metalmeccanico per approdare al vasto mondo della comunicazione digitale. La sua è stata un’evoluzione necessaria dovuta al cambiamento dei tempi o una scelta di attitudine personale? Se dovesse descriversi, in quale tipo di imprenditore crede di riconoscersi di più?
La mia esperienza da imprenditore ha avuto inizio con il mio ingresso nell’azienda di famiglia, successivamente venduta a una multinazionale.
Eravamo a fine anni novanta e i tempi mi parvero maturi per una avventura nuova e in solitaria: nel ‘96 infatti decisi di aprire una start up dedicata alla comunicazione anche in ragione della mia passione per il marketing aziendale di cui da sempre mi ero occupato. Da lì, anche grazie alla partecipazione al Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria, la mia cultura di impresa si è arricchita spingendomi a investire in settori diversi da quelli a me fino ad allora noti: nel food and beverage e in una start up innovativa ora incubata al Politecnico di Torino.
Credo che esistano alcune caratteristiche che rendano un imprenditore tale, a prescindere dal comparto in cui si muovono le sue attività. Un imprenditore è chi, dotato di forte spirito di avventura e coraggio, dà inizio ad imprese dove l’alea e l’incertezza del risultato sono gli ingredienti fondamentali. Ciononostante, però, rischia perché crede nel suo progetto, nella sua idea di impresa e vuole vederla realizzata.
Oggi però fare impresa in Italia è tutt’altro che semplice, tanto che lei stesso ha dichiarato che «l’imprenditore non è considerato un alleato dello Stato». Perché e come si ribalta questa convinzione?
È così, ma è fondamentale impegnarsi per contribuire al cambiamento. Purtroppo oggi l’eccessiva burocrazia, la poca certezza del diritto e delle regole, sono deterrenti forti per chi vuole aprire e far vivere un’azienda. Proprio per questo bisognerebbe riportare l’impresa al centro delle attenzioni della politica e delle istituzioni per creare un ecosistema finalmente favorevole all’unico reale motore di crescita sociale e di sviluppo economico. L’impresa è prima di ogni altra cosa lavoro e costruzione del domani.
Anche in virtù della sua esperienza, come legge e giudica il rapporto tra le generazioni oggi in impresa, in politica e più in generale nella società?
In genere si parla di ricambio, di conflitto, di patto generazionale. Io preferisco invece puntare l’accento sulla convivenza possibile tra le generazioni in cui chi ha più esperienza la mette a disposizione di chi, per la sua parte, offre energia nuova e nuova visione.
Un click, uno solo per creare un’azienda direttamente online. Parliamo di futuro o di prossimo presente?
Mi auguro accada nel prossimo presente. La velocità con cui si permette a chi ha un’idea di tramutarla in un’impresa è indispensabile per essere reattivi e metterci al passo con gli altri Paesi, anche solo con quelli europei.
Una semplificazione del genere, apparentemente banale, sarebbe invece un concreto incoraggiamento per nuova imprenditorialità vitale ed entusiasta.
In termini di provvedimenti concreti, cosa serve al Paese per tornare ad avere un ruolo da protagonista nell’economia globale?
Ci vorrebbe la bacchetta magica, ma purtroppo non c’è. Sono ormai divenute urgenti, prima ancora che necessarie, le riforme strutturali nel lavoro e nella pubblica amministrazione. Perché il nostro Paese torni a essere grande, la politica – insieme con l’impresa e Confindustria in questo si dimostra da sempre un valido interlocutore – deve agire secondo una visione strategica lunga che ci porti da qui ai prossimi dieci anni. Fortunatamente la nostra bandiera all’estero restano le tante eccellenze del Made in Italy, che vanno per questo sostenute perchè rappresentano al meglio quel genio italiano che può ancora essere il vero driver del nostro sviluppo.
“I giovani sono coloro che continuano a farsi domande invece che tentare esclusivamente di dare risposte”: a quale domanda lei vorrebbe trovare la giusta risposta?
Porsi degli interrogativi è la maniera migliore per trovare risposte convincenti. La domanda che porrei al Paese è «che ruolo noi vogliamo assegnare all’impresa». Vorrei che la risposta fosse un ruolo di primo ordine che, nei fatti equivarrebbe, a essere sostenuti come imprenditori, a essere incentivati e di certo non solo economicamente. Per la mia parte lavorerò perché il Movimento dei GI diventi la casa di chi vuole mettersi alla prova sfidando i propri sogni per poterli trasformare in obiettivi.