A poche ore dalla presentazione del Rapporto SVIMEZ sui Confidi nel Mezzogiorno a Palazzo Marini a Roma, il Presidente Adriano Giannola ribadisce che la priorità per tutto il Paese, e non solo per il Sud, è una politica di sviluppo e una strategia macroeconomica di ampio respiro.
Presidente Giannola, partiamo dal Rapporto della Svimez sulla relazione banca e impresa, presentato lo scorso 8 luglio a Roma: secondo la vostra analisi i Confidi al Sud sono più piccoli, a parità di grandezza erogano meno garanzie, e offrono alle imprese finanziamenti a un tasso quasi doppio rispetto ai Confidi del Centro-Nord. Un costo non da poco per le imprese del Mezzogiorno che non vivono di certo un buon momento…
L’imprenditoria al Sud, come al Nord, attraversa un momento delicato a causa dell’incertezza che contraddistingue il Paese e che, insieme ad altri fattori, rallenta l’espansione dell’impresa. Al Mezzogiorno poi si aggiungono le difficoltà legate alla maggiore debolezza che le imprese hanno nella relazione con le banche perché sono, generalmente, meno patrimonializzate. Di rimando, un sistema di garanzia collettivo poco efficiente non serve a molto. L’urgenza quindi, peri i confidi, è di mettere mano a una radicale ristrutturazione.
Riorganizzazione, pertanto, ma secondo quali direttrici?
Bisognerebbe innanzitutto cominciare da quanto è previsto dalla relativa normativa, che impone agli intermediari finanziari di crescere dimensionalmente, aggregarsi per raggiungere quanto meno la media scala, ridurre i costi essere per una maggiore efficienza e avere più mezzi propri. Un processo che è già in atto al Sud anche se lento. I confidi dovranno presto avere una visione e una strategia di azione più complessiva, di più ampio respiro.
Secondo quanto emerso poi dagli ultimi bollettini di Abi, Banca d‘Italia e sempre dal Rapporto Svimez, le sofferenze non fanno altro che aumentare a causa del persistere dalla crisi economica…Un dato non certo incoraggiante. Le prospettive lasciano presagire ulteriori peggioramenti?
La Svimez prevede un 2013 tutto in forte frenata, con un’ulteriore flessione del Prodotto Interno Lordo sia a Nord, sia al Sud. Altri ipotizzano una ripresa per il prossimo anno, ma – al momento – noi, se l’atteggiamento della finanza pubblica anche a livello europeo resta così restrittivo, non crediamo affatto ci possano essere margini reali per risalire la china. Al più potrebbe esserci una battuta di arresto di questa che è una vera e propria caduta libera del nostro Paese ormai da cinque anni.
Le politiche di rigidità imposte dall’Europa non aiutano di certo.
Questa considerazione sembra faccia breccia dappertutto ma non al punto tale da indurre poi un’azione che sia coerente con questa saggia conclusione. Ci auguriamo che questo momento di cambio di comportamento delle politiche macroeconomiche sia prossimo, e che si realizzi a livello europeo perché il Paese da solo – con buona evidenza – ha poca autonomia di scelta.
Per quanto attiene invece la dinamica dei prestiti alle imprese, è negativa pure questa con una riduzione degli affidamenti e una sostanziale disparità di trattamento banca-impresa tra Nord e Sud. Come si esce da questo divario ormai storico?
Dice bene, è una forbice di iniquità che ci trasciniamo da lungo tempo. Anche in tempi di crisi, però, qualcosa si potrebbe fare a partire dal costo del credito. A parità di dimensione e di classi di rischio – solo per citare due parametri oggettivi – l’impresa del Sud, infatti, paga di più il denaro. Questo è senza dubbio un fattore di riduzione di competitività sui mercati non indifferente. È come se, alla clientela migliore nel Mezzogiorno, si facesse pagare il fatto che essendo il Sud più rischioso, le sofferenze sono più alte che al Nord. Questo vuol dire creare deliberatamente condizioni di debolezza. La clientela simile andrebbe trattata in modo paritario su tutto il territorio.
Quali le richieste della Svimez al Governo Letta?
Chiediamo all’attuale Esecutivo di impegnarsi su di un discorso strategico. Ben vengano le soluzioni fin qui adottate per affrontare l’emergenza, ma il Paese necessita di interventi da inquadrare in un discorso più omogeneo e di più ampio respiro che, ora come ora, pare mancare completamente. Le questioni dell’Imu, dell’Iva, ad esempio, sono ben poca cosa rispetto al riposizionamento dell’Italia prima e del Mezzogiorno, poi. Se si aprisse un confronto anche solo su questo aspetto, saremmo a buon punto.