Piuttosto che limitare i ricorsi al TAR, bisognerebbe rendere finalmente più chiari i percorsi normativi
Certo, non mi fa velo il ruolo associativo ricoperto nel dire che la Giustizia Amministrativa, per diversi motivi, continua ad avere ancora un ruolo importante nel nostro Ordinamento. L’esigenza di ribadire questa che può sembrare una ovvietà, nasce dopo aver letto dichiarazioni, finanche proposte di legge tese a limitare fortemente gli interventi del TAR con il solito refrain che attardano l’opera della Pubblica Amministrazione, specie in materia di appalti.
Queste proposte, o più spesso vere e proprie invettive, si ripropongono ogni tanto, magari in occasioni di sentenze che hanno eco mediatica, il che accade perché vi è sempre coinvolta una Pubblica Amministrazione e si toccano interessi pubblici.
Di recente, si è letto anche di proposte di legge che puntano a limitare l’esito, pur favorevole, del giudizio al TAR quando si impugna un’aggiudicazione di un appalto illegittima, prevedendosi solo il risarcimento per equivalente – risarcimento economico- e mai il risarcimento in forma specifica, e cioè all’attribuzione della gara che è stata illegittimamente sottratta. Proporre, in violazione dell’art. 24 Cost. che chi ricorre non possa ottenere il c.d. bene della vita e cioè l’appalto di cui ha diritto, sembra una provocazione.
Vorrebbe dire che, a fronte di qualsiasi nefandezza, l’ordinamento pubblico, pur riconoscendo l’errore, ammetta solo il ristoro economico: con il duplice errore, quello di garantire nel contratto pubblico un soggetto che non ne ha diritto, e quello di far spazio a molti operatori che ricorrerebbero solo per fini speculativi, in danno alla Pubblica Amministrazione che pagherebbe, così, due volte lo stesso appalto. Inoltre va detto che quando queste proposte di legge vengono dalle Regioni, esse hanno precisi limiti ai sensi dell’art. 121, II comma Cost. e basterà qui dire, senza voler minimamente affrontare un tema del diritto costituzionale assai ampio, che essa dovrebbe limitarsi alle materie di propria competenza. Ma, si ripete, è un discorso lungo, magari controverso, che non è il caso di affrontare in questa sede.
È invece segno, ulteriore, di fastidio verso la Giustizia Amministrativa che però proprio nella materia dell’appalto è certo ordinamento giudiziale efficiente ed almeno in genere, favorevole all’Amministrazione. Questo si verifica sia per cultura del giudice amministrativo, che tende a mantenere quando possibile lo status quo (ne è prova la statistica sugli esiti dei ricorsi) sia per i limiti del sindacato stesso dei Tar, secondo la legge. E allora nelle poche occasioni quando i ricorsi vengono accolti, la violazione di legge in cui è incorsa la stazione appaltante, in genere, è palese.
Del resto, proprio per evitare che il contenzioso potesse rallentare l’incedere degli appalti e quindi delle opere pubbliche, è stato approvato da anni un rito super accelerato che prevede la definizione del giudizio in poche settimane. Inoltre è noto che i TT.AA.RR., in questa materia più che in altre, ben consapevoli delle possibili difficoltà che incontrerebbe la stazione appaltante, concedono pochissimi, anzi rarissimi, provvedimenti cautelari, con la conseguenza, spesso frustrante, che passano il vaglio del Tar aggiudicazioni almeno dubbie. E ancora, il contenzioso si è da anni deflazionato a causa dell’enorme costo del contributo unificato che prevede tra il primo e il secondo grado costi di sole tasse per lo Stato che talvolta superano i 20.000 euro anche per appalti di piccolo importo (superiori ad 1 milione di euro a base d’asta). Ad esempio, il costo nel giudizio civile per tre gradi è molto meno della metà anche per cause di valore illimitato e certamente di maggior, possibile, pregiudizio quando controparte è un’amministrazione dello Stato. Da tutto ciò dovrebbe piuttosto ricavarsi che la possibilità di ricorrere deve essere aumentata e non diminuita, come pure andrebbe svolto un ampio dibattito culturale sulla giurisdizione amministrativa, troppo tutelante delle ragioni dell’Amministrazione. Da cosa nasce, dunque, questo fastidio verso il Giudice Amministrativo? Dall’idea che per andare avanti la P.A. debba essere addirittura garantita, in modo tale da non “disturbare il manovratore”. Alcuni amministratori ritengono che una determinazione di aggiudicazione un appalto piccolo o grande che sia, non possa essere contestata perché ciò rallenterebbe il flusso ordinario delle attività. Addirittura, da alcuni autorevoli leader nazionali è stato affermato – senza alcun conforto dei numeri – che i Tar incidono sul PIL quando intervengono in materia di opere pubbliche. Si tratta di notizie false, di vere e proprie fake news che non trovano conforto nella realtà. Si è detto dell’altissima percentuale di rigetto di un giudizio che tutela l’aggiudicatario; si è anche detto dello sforzo che garantisce tempi rapidissimi, di pochi mesi per definire in primo e secondo grado una causa, tempi record in Europa. Non è che forse si sta sbagliando bersaglio? Non sarebbe il caso di rendere più chiari i percorsi amministrativi? È la legge italiana che è farraginosa.
È il Codice degli Appalti che spesso induce in errore la stazione appaltante e l’impresa classificata a proporre giudizio, oltre alla penuria di lavoro che in questi ultimi tempi si è pure aggravata per i noti motivi e che spinge a tentar la carta del ricorso. Sarebbe il caso che maggiore attenzione venga posta alla produzione legislativa, piuttosto. L’idea, raccolta anche in questa rivista in precedenti articoli, è di semplificare il Codice degli Appalti e considerare le sole Direttive Europee, che sono ineludibili. Mettere ulteriori paletti al Giudice Amministrativo vuol dire lasciare solo il cittadino e l’impresa di fronte al “potere”, che non sempre sta nel giusto, anzi. E questo non sarebbe uno Stato di diritto.