Per il Presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali e per le Politiche di Coesione Territoriale di Confindustria é auspicabile una devoluzione focalizzata su “ambiti di materie” funzionali alle peculiarità territoriali e all’effettiva capacità delle rispettive amministrazioni di esercitarle
Mentre l’Europa scommette sul mettere insieme le potenzialità dei differenti paesi, nel nostro torna in agenda l’autonomia differenziata. Quali potrebbero essere gli impatti sul Mezzogiorno e, più in generale, per l’economia italiana?
Per rispondere a questa domanda è doverosa una premessa. L’autonomia differenziata costituisce un principio costituzionale, in sé meritevole di attuazione. Se ben calibrata, essa può rappresentare un’occasione per rafforzare la competitività e valorizzare le specificità dei territori. In Confindustria guardiamo quindi con interesse a un’attuazione del regionalismo differenziato che, senza aumentare i divari tra le Regioni, rafforzi i territori nel solco dei principi di sussidiarietà, unità, efficienza e solidarietà. Inoltre, il dibattito attuale potrebbe e dovrebbe essere l’occasione per riaprire il confronto sul Titolo V della nostra Costituzione, che a distanza di 22 anni dalla sua riscrittura, mostra ormai con chiarezza alcune “crepe”, tra contraddizioni e lacune normative, incertezze interpretative e inattuazioni. Si pensi soltanto, ad esempio, che solo ora sembra avviarsi il percorso per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e che non ha ancora trovato attuazione quanto previsto dall’art. 119, vale a dire la creazione del fondo perequativo che dovrebbe compensare gli squilibri “sofferti” dai territori con minore capacità fiscale. Peraltro, il superamento di queste due lacune rappresenta, a mio avviso, una condizione necessaria per avviare il percorso verso un’autonomia differenziata “giusta”.
Quanto potrebbe rivelarsi inefficace, se non dannoso, che scelte strategiche per l’economia nazionale, come quelle nel campo dell’energia e delle infrastrutture, vengano decentralizzate? E quelle relative a sanità e istruzione?
Se da un lato il regionalismo differenziato può costituire un’opportunità per i territori, dall’altro è necessario porre grande attenzione alle materie – o agli ambiti di materie – che saranno oggetto di devoluzione. Per noi c’è un punto irrinunciabile: alcune materie strategiche, che contribuiscono a creare le condizioni per la competitività e lo sviluppo debbono essere “gestite” a livello nazionale, se non addirittura europeo, per garantire efficienza, ma anche omogeneità normativa e amministrativa e condizioni di partenza più simili, a tutela del mercato. Mi riferisco, per citare gli esempi più eclatanti, alle infrastrutture energetiche e di trasporto e, più in generale, ai servizi a rete, nonché al commercio con l’estero. Materie che necessitano di meccanismi di coordinamento, volti anche a superare veti o inerzie, che possono essere assicurati solo da una gestione unitaria, strettamente connessa, peraltro, agli orientamenti europei. Sarebbe opportuno, poi, individuare le attribuzioni devolute alle Regioni secondo un approccio graduale. Infatti, modifiche massive delle competenze legislative e amministrative potrebbero impattare in negativo sull’assetto delle organizzazioni regionali, a danno della loro stessa efficienza. In quest’ottica, sarebbe auspicabile una devoluzione focalizzata – più che su intere materie – su “ambiti di materie” (come peraltro previsto dal DDL Calderoli) funzionali alle peculiarità territoriali e all’effettiva capacità delle rispettive amministrazioni di esercitarle, individuando, quindi, specifici spazi di competenza regionali e spazi, invece, lasciati alla competenza statale.
Della rivendicazione regionale del residuo fiscale cosa ne pensa?
Credo sia un tema da ricondurre a una logica di rivendicazione politica, più che alla costruzione di un percorso equilibrato di attuazione della norma costituzionale in tema di autonomia differenziata. Si tratta, infatti, di un tema sensibile, molto discusso sia a livello politico che tra gli esperti, ma che non risulta, a oggi, all’ordine del giorno della discussione sull’autonomia, tant’è che non è richiamato, né regolato dal “DDL Calderoli” in quanto, su un piano generale, il trattenimento del residuo fiscale può rappresentare una soluzione disallineata rispetto alle esigenze e ai principi di perequazione, che a loro volta, com’è ormai chiaro a tutti, rappresentano alcuni dei criteri cui deve uniformarsi l’attuazione della norma costituzionale sul regionalismo asimmetrico.
L’attuazione del PNRR potrebbe essere ostacolata da questo processo di riforma?
Il PNRR è un piano di riforme e di investimenti caratterizzato, sin dalla sua ideazione, da un forte protagonismo del livello nazionale. Per assicurare il raggiungimento degli obiettivi del piano, quindi, ritengo che l’attuazione dell’autonomia differenziata dovrebbe tener conto anche del fatto che un passaggio di competenze dal livello centrale a quello regionale potrebbe, in questa fase storica, generare incertezze nell’attribuzione delle competenze e, di conseguenza, potenziali ritardi nell’attuazione. È uno dei motivi per cui riteniamo vada privilegiato un approccio graduale e al tempo stesso flessibile nell’individuazione delle materie, per garantire un “passaggio di consegne” fluido e coordinato, anche nell’ottica del rispetto degli impegni presi con l’Unione Europea.