Si avvicina a grandi passi l’ennesimo adempimento fiscale rappresentato dalla comunicazione dei finanziamenti effettuati dai soci, prevista per il 12 dicembre prossimo.
Infatti, con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 94904 del 2 agosto 2013 sono state attuate le disposizioni di cui all’art.2 comma 36 sexiesdecies del D.L. n.138 del 13/8/11, che hanno introdotto l’obbligo di comunicare all’Anagrafe tributaria i dati relativi ai soci o loro familiari che hanno effettuato finanziamenti o capitalizzazioni a favore delle società, con l’obiettivo di acquisire dati utili alla ricostruzione sintetica del reddito delle persone fisiche.
La comunicazione va inviata telematicamente entro il 12 dicembre 2013 per le operazioni del 2012 ed entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento per gli anni successivi.
Tale nuovo obbligo più volte rinviato, per le notevoli difficoltà applicative, si differenzia dall’altro glorioso adempimento, sempre in scadenza il prossimo 12 dicembre, inerente la comunicazione dei beni concessi in godimento ai soci, che ha invece come obiettivo il controllo che beni d’impresa non divengano beni personali, senza scontare le imposte previste dalla legge per l’uso extra aziendale.
Per inciso, sulla base della dottrina maggioritaria, la comunicazione sui beni va inviata solo qualora vi sia da “denunciare” un socio che non avesse pagato per l’uso del bene un importo di mercato. Diversamente, infatti la comunicazione non sarebbe necessaria. Mi domando, visto che il 95% delle nostre imprese è una PMI, quanti saranno gli amministratori che comunicheranno che il loro socio (spesso amministratore) ha evaso le tasse?
Tornando ai finanziamenti, l’AGE ha precisato che essi vanno comunicati anche se non ineriscono ad operazioni finalizzate all’acquisto di beni da concedere in godimento, in aperto contrasto con la normativa istitutiva (DL 138), che invece prevedeva la comunicazione del finanziamento solo se esso fosse utilizzato per l’acquisto del bene (come correttamente rilevato dall’IRDEC con la circolare 27/2012). Siamo quindi dinanzi ad una estensione di un obbligo non supportato da una norma di legge.
Sono soggetti alla informativa le persone fisiche che, nella loro qualità di soci, erogano, direttamente o per il tramite di loro familiari, somme di denaro a titolo di finanziamento o di capitale a favore delle seguenti società od enti residenti:
a) società di persone, escluse le società semplici;
b) società di capitali;
c) società cooperative;
d) stabili organizzazioni;
e) enti privati di tipo associativo limitatamente alla sfera commerciale.
Tuttavia, nel rispetto del de minimis, l’obbligo di comunicazione da parte della beneficiaria del nome dei soci finanziatori sorge per importi complessivi annui, per ciascun soggetto, pari o superiore ad Euro 3.600,00, al lordo delle eventuali restituzioni.
L’AGE ha precisato che non vanno inoltre comunicati gli apporti di cui essa sia già informata, come ad esempio, i versamenti effettuati nelle sottoscrizioni di aumenti di capitale risultanti dal verbale dell’assemblea straordinaria o i finanziamenti regolati da scritture private autenticate (rarissime).
Ne consegue che, tra le capitalizzazioni, saranno da comunicare, ad esempio, i versamenti in conto capitale o a fondo perduto e similari, qualora non avvengano in atti assembleari soggetti a registrazione.
Tra i finanziamenti, occorrerà comunicare quelli effettuati attraverso scambio di corrispondenza o comunque con modalità per le quali l’AGE ritenga di non poter reperire l’informazione.
L’elencazione di ciò che va comunicato è di puro buon senso, perché nel concreto il contribuente non è in grado di sapere di cosa effettivamente l’AGE sia già informata. La considerazione non è banale se si pensa a quante banche dati ormai l’Erario può far ricorso, ivi compresa l’anagrafe di tutti i rapporti bancari.
È molto probabile quindi che, per prudenza, verranno effettuate molte comunicazioni di cui l’Amministrazione Finanziaria abbia, per altre vie, già notizia.
Sotto il profilo delle sanzioni, per l’omesso o infedele invio non si applica la soprattassa del 30 per cento, prevista per la comunicazione dei beni, in quanto non esiste base imponibile, né è applicabile la sanzione amministrativa residuale da 258 a 2.065 euro prevista dall’articolo 11, comma 1, lettera a), del DLGS n. 471/1997. Ne deriva che dovrebbe risultare applicabile la sanzione generale stabilita dall’articolo 13, comma 2, del DPR n. 605/1973, secondo il quale chi omette dati da comunicare all’AGE è colpito da pena edittale da 206,58 a 5.164,57 euro.
L’adempimento in questione è un esempio paradigmatico della contraddizione del nostro legislatore. Esso è nato come corollario al controllo sull’uso dei beni aziendali ed è diventato invece (sine lex) un autonomo strumento da redditometro, con l’aggravante di avere tutti i requisiti anche psicologici della autodenuncia.
Cosa si pensa potrà succedere? È ragionevole immaginare che gli apporti dei soci subiscano una contrazione, a tutto danno del sistema imprese?
Né vale a mio parere la considerazione che tale probabile effetto collaterale troverebbe la sua giustificazione nel superiore interesse del Paese alla lotta all’evasione. Per due ragioni. Innanzitutto l’insieme di informazioni oggi a disposizione dell’AGE rende del tutto ridondante una ulteriore specifica comunicazione.
Inoltre, anche ammettendo l’imprescindibilità di tale informazione ai fini antievasivi (ed è tutto da dimostrare), sarebbe bastato prevedere uno specifico rigo nel modello Unico delle società beneficiarie ove allocarla e il risultato sarebbe stato raggiunto lo stesso, ma con un obbligo in meno.
Ecco la contraddizione: da un lato si professa la crescita e la semplificazione e dall’altro lato si emanano norme che vanno nel senso esattamente contrario.
È di questi giorni il dato del carico fiscale per le imprese del 65% rispetto alla media europea del 41%, non credo che adempimenti del genere lavorino nella direzione di ridurre tale irrazionale forbice.