La finalità del regolamento europeo è evitare che i gate-keepers diventino ecosistemi chiusi in cui sia limitata la concorrenza fra le imprese e compressi i diritti dei consumatori
Il 28 ottobre Elon Musk, per annunciare la sua acquisizione di Twitter, ha postato il messaggio “l’uccellino è stato liberato”. Fra le risposte è stata particolarmente significativa quella del Commissario Europeo Thierry Breton che ha commentato «ma in Europa volerà secondo le nostre regole». Il 1° novembre è, infatti, entrato in vigore il Digital Markets Act (DMA) che intende imporre maggiori responsabilità ai cosiddetti “gate-keepers” che, per dimensioni e ruolo, svolgono ruoli di piattaforme come Apple, Google e Amazon.
La finalità è evitare che tali ambienti diventino ecosistemi chiusi in cui sia limitata la concorrenza fra le imprese e compressi i diritti dei consumatori, dando soprattutto un inquadramento organico in grado di supportare le tante indagini Antitrust che in Europa, e anche in Italia, stanno intervenendo per chiarire i casi di abuso di posizione dominante da parte di tali multinazionali.
Il cronoprogramma prevede che i primi effetti si dispieghino a partire dal maggio 2023, ma è già possibile osservare alcuni aspetti che tale provvedimento può produrre o accelerare: gli sviluppatori di app potranno introdurre pagamenti gestiti da sistemi differenti da quello collegato al produttore dello smartphone o al sistema operativo utilizzato; i marketplace non potranno servirsi dei dati di vendita che i merchant realizzano sulla loro piattaforma per introdurre collezioni a marchio proprio e, a questo proposito, tali brand non potranno godere di una visibilità preferenziale; i motori di ricerca non potranno garantire un trattamento di vantaggio ai propri servizi.
Nell’elenco sopra indicato i nomi degli operatori chiamati in causa non sono presenti, ma è facile intuire chi siano i destinatari del provvedimento. In più occasioni, negli Stati Uniti e in Europa, Apple ha già dovuto difendersi dall’accusa di abuso di posizione dominante da parte di Epic Games – il produttore di Fortnite – o di Spotify: con una difesa fondata sui servizi offerti ai produttori di app e agli utenti per proteggerne la privacy e la sicurezza dei dispositivi, Apple dal prossimo anno avrà molta più difficoltà a giustificare il 30% di commissione richiesta agli sviluppatori per un valore che l’anno scorso è ammontato a 70 miliardi di dollari. Amazon poi, anche in Italia, è oggetto di un’indagine Antitrust per la visibilità che offre ai merchant che si avvalgono di FBA (“Fullfilled by Amazon”, un servizio nel quale si occupa di immagazzinare, imballare e spedire i prodotti, gestire l’assistenza clienti e i resi) e negli Stati Uniti ricorrenti sono le controversie relative al trattamento offerto ai suoi tanti brand in private label – che non includono il termine “Amazon” – nell’arredamento e nell’abbigliamento.
Lo scorso anno poi, la Corte di Giustizia Europea ha confermato la sanzione da 2,42 miliardi di euro comminata nel 2017 per il trattamento privilegiato offerto a Google Shopping nell’ambito dei risultati di ricerca. Se i venti della recessione hanno portato in queste settimane ai tanti licenziamenti decisi da parte di BigTech, anche le riforme quali il Digital Markets Act stanno contribuendo a ridurre il peso degli operatori over-the-top nel panorama digitale dell’Unione.