La legge italiana non sempre è chiara, arroccata dietro rigidi formalismi e, talvolta, difforme dai principi comunitari
Le imprese che si occupano di lavori pubblici sanno come il DURC – documento di regolarità contributiva per INPS, INAIL e Cassa Edile – sia spesso la classica buccia di banana nelle gare con la Pubblica Amministrazione. Si può aver presentato la miglior offerta e predisposto il miglior progetto, ma se una rata di un debito erariale non è stata pagata, o è sfuggito il pagamento di mille euro – giusto per fare un esempio – seppure la gara vale milioni, la Commissione esclude l’impresa “inadempiente” sul presupposto che il DURC non sia sindacabile dalla stazione appaltante, che chiede la regolarità nel corso di tutta la procedura di gara (da ultimo T.A.R. Campania, 1^, n. 96/15, che “legge” in questo modo Consiglio di Stato in Ad. Plenaria n. 8/12).
Quando poi l’irregolarità riguarda versamenti alle Casse Edili, la questione diventa ancor più amara e, talvolta, sospetta, visto il grado di minor attendibilità delle Casse Edili in quanto associazioni non riconosciute e non enti pubblici. Questi soggetti quindi, pur non essendo “istituzionali”, spesso decidono le sorti di una gara con una comunicazione che può essere parziale o ritardata. Il problema di un DURC irregolare, con l’impresa spesso inconsapevole o addirittura espulsa nonostante non abbia pendenze o comunque le abbia chiarite e risolte, è assai sentito. Uno spiraglio, dopo molte ingiustizie sull’altare del rigido formalismo, viene dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, che con l’ordinanza 11 marzo 2015 n. 1236, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il merito della conformità della legislazione italiana a quella comunitaria e, in particolare, al principio di ragionevolezza e agli articoli 49 e 56 del Trattato, quando la violazione contributiva non è conosciuta dall’operatore (che partecipa ignaro alla gara d’appalto) e comunque non può essere considerato inadempiente (perché paga quando avvertito) al momento della aggiudicazione. Speriamo dunque che i Giudici Europei chiariscano quanto irrazionale e difforme dai principi comunitari sia la legge italiana, spesso rafforzata dai formalismi ancora più rigorosi, sia pur corretti alla luce della legge e dei precedenti, di talune decisioni dei Giudici Amministrativi.
Affidiamoci alla Corte Europea allora per questo e ancor di più – dovrebbe essere prossima la decisione – per cancellare la vergogna del contributo unificato (la marca da bollo da apporre al ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale e al Consiglio di Stato) che in Italia può costare all’impresa fino a 20.000 euro di tasse nascoste solo per chiedere giustizia.