IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E IL PRINCIPIO DEL RISULTATO

Nelle previsioni del legislatore, il risultato diventa prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per valutare la responsabilità dei soggetti coinvolti in ogni fase del ciclo di procurement

 

Come è noto, il Governo ha approvato di recente il nuovo Codice dei contratti pubblici, dopo un articolato lavoro da parte del Consiglio di Stato che, nella quasi totalità, è stato recepito nel Decreto Legislativo n. 36 del 2023.

Si è trattato di uno sforzo importante e la linea evidente che si è inteso seguire è quella di non ingessare le amministrazioni appaltanti nelle precedenti regole considerate troppo rigide, introducendo semplificazioni e accelerazioni sia nella fase della aggiudicazione, sia in quella della esecuzione.

Inoltre si è molto puntato sulla completa digitalizzazione della PA, e finché questo non avverrà, la partenza del nuovo Codice sarà zoppicante.

A prescindere da tale considerazione, però, va posta l’attenzione su di una novità senz’altro interessante. Una delle innovazioni più significative è il Capo I del Codice dedicato ai Principi, indicati in apertura del nuovo Testo. Tra questi, oltre al principio della fiducia e a quello di accesso al mercato, assume rilievo di forte novità quello che fissa il c.d. «principio del risultato».

Il Legislatore ha voluto, dunque, porre subito, all’art.1, la regola interpretativa fondamentale con cui le norme devono essere lette, nel senso che scopo primario è realizzare l’opera o il servizio desinato alla collettività.

E da qui discende la precisa richiesta per far sì che gli sforzi degli operatori della P.A. siano concentrati sul risultato, che poi è l’opera o il servizio pubblico che deve essere concretizzato in modo possibilmente tempestivo, efficiente e trasparente. Non può negarsi che si tratta di un dato molto rilevante, sia per la tecnica legislativa, sia per le conseguenze sul piano interpretativo di tutto l’impianto del Codice. Del resto il nuovo Codice dei contratti è una delle condizioni del PNRR, cioè l’Europa ha chiesto all’Italia di riformare il settore condizionando a questo l’erogazione di importanti finanziamenti.

Coerente con questa origine – e cioè di realizzare un sistema che favorisse gli investimenti per la collettività per ottenere l’esito concreto che è l’opera pubblica – si è ritenuto di indicare questo precipuo scopo come elemento caratterizzante. Non si tratta di una novità assoluta visto che lo stesso Codice ricorda come, nel settore dei contratti pubblici, il risultato è la sintesi del principio di buon andamento, di efficienza e di economicità fissato dall’art. 97 della Costituzione, oltre che in altre diverse norme, anche di origine comunitaria.

Ma gli effetti sono anche altri e sono indicati esplicitamente. La norma indicata, infatti, al comma quarto dello stesso articolo 1, dispone che sulla base del risultato andrà valutata l’attività del funzionario pubblico addetto alle varie fasi del contratto, di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dell’opera o del servizio. Il risultato sarà la pietra angolare anche per stabilire gli incentivi economici al personale delle PP.AA. , che saranno parametrati al “buon esito” finale dell’appalto. L’opera realizzata, la norma sul risultato come elemento per escludere o limitare eventuali colpe formali del funzionario, nasce anche dalla esigenza di trovare una soluzione a quella che viene da tempo nominata come “paura della firma”.

Semmai, dunque, fosse operata una forzatura da parte del funzionario, la circostanza che il risultato sia stato raggiunto e l’opera consegnata ai cittadini, verrà considerata una possibile esimente o comunque elemento per valutare il grado della colpa. Ed è chiaro che il tutto si inquadra anche nella enunciata riforma del reato di abuso di ufficio.

Se è così non vi sarebbero, allora, grandi obiezioni a tale regola interpretativa, che sembra avere solo vantaggi. Sarà la pratica applicazione però a dirlo, e come al solito l’applicazione che ne farà la giurisprudenza.

Sin d’ora però, si possono immaginare alcuni possibili “incagli” o dubbi.

La teoria del risultato, se su questo si baseranno anche l’esclusione di responsabilità e addirittura gli incentivi economici, presuppone “certezze” per definizione, cioè ci si deve intendere prima quale sia concretamente il risultato anche in relazione alle differenti realtà di fronte alle quali ci si trova.

Sul piano dogmatico, molti ritengono dunque necessario individuare atti e categorie su cui commisurare la legittimità dell’azione amministrativa. Per esempio, potrebbero essere utilizzati i dati preesistenti o comunque prevedibili in maniera ragionevolmente sicura, senza affidare il giudizio di legittimità (o di responsabilità o di premio, come visto) ad un elemento futuro e per definizione imponderabile, come appunto l’opera compiuta.

Del resto, così come è scritta la norma, l’esigenza di raggiungere il risultato non è ancorato ad un dato preliminare – e certo – in base al quale giudicare.

E allora la pratica applicazione dirà quali possono essere i parametri che consentono di identificare il risultato, perlomeno in alcuni casi più controversi. Certo non è popolare, ma non si può sfuggire dal dare doverosa importanza dell’indirizzo politico, e cioè a quei deliberati degli organi di programmazione che possono – ma si dovrebbe incominciare a considerarlo un vero e proprio dovere – indicare il risultato minimo, anche di gestione dell’opera. Vi sarebbe così un dato preliminare col quale confrontarsi e valutare sin dal momento della programmazione se l’esito ultimo possa dirsi valido anche secondo il principio del risultato.

Per altro verso, e questo interessa più l’attività degli avvocati, ma in generale del mondo economico che essi rappresentano in sede giudiziaria, la logica del risultato – malamente intesa – potrebbe diminuire la tutela di chi ricorre contro l’esito di una gara, se diventa primaria l’esigenza di concretizzare l’appalto. Sarà più limitata la tutela di chi, invocando l’illegittimità dell’aggiudicazione, potrebbe trovare nuovi ostacoli in Tribunale per sostituire l’appaltatore prescelto in prima battuta e dunque difficoltà a bloccare il contratto ritenuto contrario a norme e regolamenti.

La logica del risultato finirà infatti per influenzare anche le scelte dei Giudici, già tendenzialmente conservatrici, e tenderà a favorire la veloce realizzazione dell’opera anche a fronte di dubbi di illegittimità del contratto. Luci e ombre, dunque, e speriamo che quest’ultime possano essere dissolte in prosieguo.