SRM ha lavorato alla nuova ricerca della collana “Un Sud che Innova e Produce”. Dalle analisi effettuate si rileva che investire e sviluppare l’industria del Sud abbia ricadute per tutta l’Italia: un investimento di 100 euro in quest’area genera una ricaduta di 54 euro nel Centro-Nord
SRM ha elaborato, in collaborazione con il CESDIM (Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno) dell’Università di Bari, la nuova ricerca dal titolo “Il tessuto manifatturiero del Mezzogiorno. Potenzialità economiche, dinamiche produttive e strategie di filiera” che si inserisce nella collana studi “Un Sud che innova e produce”, la cui presentazione è calendarizzata il prossimo 22 luglio a Bari.
Il lavoro nasce dal costante interesse per il settore industriale meridionale che, segnato oggi tanto dagli effetti del Covid-19 quanto dalle tensioni geopolitiche internazionali legate al conflitto tra Russia e Ucraina, si trova davanti a nuove sfide e a nuove opportunità. In particolare, l’obiettivo della ricerca è proprio quello di tracciare, alla luce degli eventi manifestatisi nell’ultimo biennio e delle nuove tendenze prospettiche, un quadro del tessuto manifatturiero dell’Italia meridionale, ricco di potenzialità e con forti interconnessioni con le catene del valore nazionali e internazionali. Il Mezzogiorno risulta, infatti, caratterizzato non solo da un tessuto industriale articolato intorno alla presenza di numerose Pmi e alcune grandi eccellenze, ma anche da importanti relazioni di interscambio nell’ambito di filiere produttive lunghe. La sua valenza e le sue potenzialità sono notevoli, anche in considerazione dei nuovi paradigmi di crescita tracciati a livello comunitario e improntati sempre più su logiche innovative e di sostenibilità e dalle nuove opportunità legate alle risorse e alle progettualità del Next Generation Ue e delle politiche europee e nazionali ordinarie. Lo studio parte da un profilo storico dell’industrializzazione nel Sud (1946-oggi) per presentare, con dettagli regionali, la caratterizzazione manifatturiera delle aziende produttive. Si analizzano, quindi, le dinamiche e le prospettive di crescita del manifatturiero meridionale, affrontando le tematiche connesse alla presenza industriale di un’area: l’evoluzione delle Global Value Chain, il ruolo della bioeconomia, la dimensione innovativa del sistema produttivo, la logistica e le ZES.
Si riportano, infine, anche i risultati di una Survey SRM su strategie e prospettive di rilancio future delle imprese manifatturiere. Per entrare nel merito dei contenuti, viene evidenziato in primis come, diversamente da quanto spesso si narra, il Sud ha un’anima industriale. È un territorio molto eterogeneo in cui convivono aree di arretratezza e punte di eccellenza formidabili, industrie altamente tecnologiche e alleanze d’avanguardia con il mondo accademico. Solo per citare alcuni dati:
Con 93.570 imprese impegnate nelle produzioni manifatturiere il Mezzogiorno rappresenta ¼ delle 372.343 imprese italiane.
Se l’Italia è al primo posto in Europa per numerosità di imprese manifatturiere, il Mezzogiorno (se fosse considerato uno stato) occuperebbe il settimo posto, tra Spagna (171.281) e Slovacchia (81.152).
Sono presenti molti stabilimenti produttivi con oltre 500 addetti: circa 60 siti di società produttrici di beni e servizi, con più di 70mila occupati diretti.
Inoltre, le tre maggiori fabbriche italiane per numero di occupati (diretti e indotto) sono al Sud: le Acciaierie d’Italia a Taranto (8.123 addetti diretti e 5.000 nell’indotto); la Stellantis, a San Nicola di Melfi (PZ), (6.761 dipendenti e 3000 nell’indotto); la Sevel in Val di Sangro (CH), (5.726 addetti diretti e 5.000 nell’indotto).
Esiste, inoltre, una crescente volontà di investire in ricerca e innovazione – sono varie le iniziative di trasferimento tecnologico con centri di ricerca e Università – con cui si prova a recuperare il gap storico, pur scontando dimensioni complessive ancora non soddisfacenti. Se da un lato, infatti, cresce sia il numero delle imprese innovative meridionali (+52% nel periodo 2014-2018, in Italia +34,3%) che la loro spesa in innovazione (+158% nel periodo 2014-2018, in Italia +96%), dall’altro aumentano anche le Pmi innovative del territorio (+127% nel periodo 2019-2022, in Italia +124%) e le Startup (+47%, in Italia +41,3%). Da sottolineare anche che il Mezzogiorno è l’area con il più elevato tasso di imprenditorialità giovanile: 10,7% contro l’8,9% in Italia. Guardando alla specializzazione settoriale dell’industria manifatturiera meridionale si rilevano (come già evidenziato in altri precedenti studi) alcuni elementi di eccellenza, specie nelle cosiddette “4A+Pharma” (Alimentare, Abbigliamento, Aerospazio, Automotive e Bio-farmaceutica) attraverso le quali il Sud dimostra di saper produrre e innovare.Queste filiere rappresentano il 47% del valore aggiunto manifatturiero meridionale (32% in Italia), il 46% dell’export (36% per l’Italia), il 45,6% degli occupati (31,4% per l’Italia) e il 39,5% delle unità locali (30,6% per l’Italia). Inoltre, il peso del valore aggiunto di tali filiere sul dato nazionale è del 18%, ben superiore a quello che si rileva nell’ambito manifatturiero (12%).
Di non secondaria importanza è la componente tecnologica di tali filiere che, negli ultimi anni, è stata in forte crescita. Da sottolineare come, tra il 2012 e il 2019, l’incidenza del valore aggiunto delle imprese a media-alta tecnologia è cresciuta più rapidamente al Sud Italia: +17,2% rispetto +3,7% del Nord e meno -1,1% del Centro. Non va, poi, dimenticato che esiste una quinta “A”, quella relativa all’ambiente e all’economia sostenibile e bio-based in cui il Sud rappresenta un player importante. Nel Mezzogiorno, la relazione tra Ambiente e Territorio ha una sua specificità. In particolare, se si considera la filiera bioeconomica, il Sud, con un valore aggiunto nel 2019 di 24,4 miliardi di euro e con circa 732mila addetti, rappresenta rispettivamente il 24% e il 36,5% del relativo dato nazionale. Nell’area il peso del valore aggiunto sul totale economia è del 6,8%, valore superiore a quello nazionale (6,3%).
In termini di occupazione, gli addetti a produzioni bio sono pari al 10,7% degli occupati complessivi nella ripartizione, circa 3 punti percentuali in più rispetto alla media italiana del 7,9%. In ogni caso, il valore delle filiere manifatturiere meridionali va misurato anche attraverso le innumerevoli relazioni produttive che percorrono lo stivale da Nord a Sud e viceversa.
Molte produzioni di eccellenza a livello nazionale hanno parte della loro supply chain nel Mezzogiorno e investire nel settore manifatturiero meridionale genera un notevole impatto economico, non solo interno ma anche sul Paese. Considerevoli sono infatti i legami con la supply chain nazionale: le attività produttive meridionali si caratterizzano per il loro carattere di subfornitura al sistema nazionale e internazionale mascherando spesso il reale contributo al ruolo del made in Italy nel mondo.
Dalle analisi effettuate si rileva che per ogni euro che dal Sud va all’estero se ne aggiungono 1,3 destinati al resto del Paese.
Questo fa sì che investire e sviluppare l’industria del Sud abbia ricadute per tutta l’Italia: un investimento di 100 euro nel Mezzogiorno genera una ricaduta di 54 euro nel Centro-Nord. Emerge, per concludere, come sia ormai il momento che il Sud produttivo torni ad avere la centralità che merita nel più ampio contesto nazionale e internazionale.
Ci sono numerose e nuove opportunità per intraprendere la strada del rilancio (basti pensare alle rilevanti risorse disponibili per i prossimi anni) ed è un’occasione che non possiamo sprecare.
*L’articolo è stato redatto a 4 mani: Agnese Casolaro e Autilia Cozzolino sono le ricercatrici dell’Ufficio Economia delle Imprese e del Territorio di SRM che lo hanno firmato