Se inizialmente il videogioco ha assorbito come una spugna dal cinema idee, contenuti e caratteristiche principali, il cinema ha poi invertito la tendenza cominciando a fare lo stesso
I The Game Awards sono il corrispettivo degli Oscar per il Videogioco. Nell’edizione del 2022, tenutasi pochi mesi fa, per la categoria “Best Performance”, dedicata al miglior doppiaggio, motion e/o performance capture, è stato Al Pacino ad assegnare il premio. A vincerlo è stato Chris Judge, ovvero Kratos di God of War. Un attore che premia un attore, perché sì, ormai possiamo dirlo a voce alta che nei videogiochi ci sono degli attori, che siano “non conosciuti” – in rapporto allo star system cinematografico – come lo è Chris Judge, oppure “famosi” come Willem Dafoe (Beyond Two Souls), Giancarlo Esposito (Far Cry 6), Carrie Anne Moss (Horizon Forbidden West), per citarne alcuni.
Tra le due categorie la linea è molto sottile, le uniche differenze effettive, infatti, sono il be famous e in quale medium recitano, perché in entrambi i casi, cinema o videogioco che sia, si tratta di una performance.
Tuttavia, approfondendo l’argomento, è opportuno sottolineare due aspetti. Il primo è che gli attori appartenenti allo star system hanno intercettato negli ultimi anni il videogioco come nuovo spazio di performance e, ovviamente, di vetrina e nuova fonte di guadagno. Premettendo che ciò non avviene per tutti i titoli, ma principalmente per i cosiddetti tripla A aventi un grande budget di sviluppo alle spalle; d’altro canto gli attori che recitano nei videogiochi – e quindi come detto prima, meno conosciuti – hanno raggiunto una rilevanza e importanza mediatica tale nel medium che, quando avviene l’annuncio dei titoli videoludici, viene anche annunciato il cast.
Il secondo aspetto è una possibile differenza che si potrebbe evidenziare mettendo in parallelo la recitazione reale nel cinema e quella digitale nel videogioco. Una tale differenza, però, avrebbe potuto essere rilevante anni fa quando nel cinema l’uso della CGI (computer-generated imagery, letteralmente, immagini generate al computer) era ancora agli inizi, utilizzata poco e solo in casi eccezionali, anche e soprattutto a causa dei costi molto alti. Mentre nel videogioco i modelli 3D dei personaggi venivano principalmente animati “a mano” utilizzando delle reference di attori reali sia per i movimenti del corpo, sia per il volto. Non c’erano, quindi, ancora tecniche di motion capture avanzate per gli attori. Oggi invece l’uso significativo della CGI e motion capture anche al cinema fa sì che la distanza in ambito recitativo tra i due media si sia ridotta notevolmente.
Una differenza che si assottiglia ancora di più se pensiamo anche al contesto in cui avviene la recitazione: è possibile vedere un attore o un’attrice all’interno di un set in green screen, con indosso dei sensori, e recitare indifferentemente per il cinema o per il videogioco. Immaginate adesso, dopo tutto questo discorso, se ai The Game Awards al posto di Chris Judge avessero premiato un altro candidato alle nomination della categoria Best Performance, ovvero Manon Gage che ha recitato in un videogioco e in un film contemporaneamente.
Se l’abbraccio tra Chris Judge e Al Pacino rappresenta l’unione fra cinema e videogioco nell’ambito mediatico e di spettacolo, Immortality lo rappresenta nell’aspetto dei linguaggi dei media. Il titolo sviluppato da Sam Barlow, infatti, è categorizzato come un interactive film video game, ovvero un videogioco che non usa motori grafici ma scene girate con azioni dal vivo e attori reali.
La storia di Immortality ruota intorno alla misteriosa scomparsa dell’attrice Marissa Marcel, interpretata, appunto, da Manon Gage e l’obiettivo del/lla videogiocatore/trice è quello di investigare avendo a disposizione come unico elemento di indagine parti di pellicole dei tre film in cui ha recitato Marissa. Bisogna prestare attenzione a ciò che viene detto, analizzare chi e cosa c’è nel filmato e tutto ciò fa sì che il videogiocatore/trice debba essere uno spettatore attento come, appunto, nella visione di un film.
Ma è proprio nelle modalità di visione che risiede l’aggancio con il linguaggio del medium videoludico attraverso l’elemento dell’interattività. Partendo da una prima scena messa a disposizione da cui far partire l’indagine, è possibile cliccare su di essa su alcuni punti precisi che sbloccano e fanno da collegamento ad altre scene. Oggetti e persone sono, quindi, allo stesso tempo dei punti di fuga e dei link essenziali per avanzare nel videogioco e sbloccare tutte le pellicole per ricostruire e svelare il mistero di Marissa.
Ma il fattore interattività non si ferma qui in Immortality: il semplice andare avanti e indietro nella pellicola diventa, infatti, un aspetto fondamentale delle indagini e la doviziosa ripetitività di tale azione porta alla scoperta di altri particolari, nonché di pellicole “sovrapposte”, apparentemente slegate dal contesto filmico che si sta analizzando. Già le precedenti opere videoludiche di Sam Barlow, ovvero Her Story e Telling Lies, erano degli interactive film video game, basati però su videoclip. Immortality sancisce il solido legame tra i due media che c’è da sempre, ma che ha preso nel tempo sfaccettature diverse.
Se inizialmente il videogioco ha assorbito come una spugna dal cinema idee, contenuti e caratteristiche principali, come ad esempio l’introduzione delle cutscene (scene d’intermezzo non interattive), il cinema ha invertito la tendenza cominciando poi a fare lo stesso. Ne sono una prova le tante trasposizioni cinematografiche e seriali di titoli videoludici degli ultimi tempi e la volontà di proporre al pubblico prodotti audiovisivi interattivi, tra cui spicca, tra gli altri, il film Black Mirror: Bandersnatch.
Immortality non solo sancisce, ma innova questo legame operando una riscrittura del linguaggio cinematografico che si adatta a quello videoludico e viceversa: se non ci fosse il fattore dell’interattività, sarebbe stato un film, se invece ci fosse stato uno sviluppo solo con motore grafico, sarebbe stato un videogioco.
Come ha affermato Jean-Luc Godard in un’intervista: «Da qualche parte, tra il videogioco e il CD-ROM, potrebbe esistere un altro modo di fare cinema», ed è così, ma come abbiamo visto – ci permettiamo di aggiungere – da qualche parte, tra il cinema e la serialità, esiste anche un nuovo modo di fare videogioco. Una sinergia tra media che confluisce in un legame immortale.