L’Italia è in ripresa, una luce fioca che si nota in fondo ad un tunnel infinito. A confermare questa affermazione che troppo spesso i cittadini hanno ascoltato dalle bocche dei rappresentanti politici è l’Istat, che ha recentemente pubblicato le statistiche relative alla produzione dell’industria nazionale.
A marzo 2017, i prodotti italiani crescono dello 0.4% in confronto con febbraio e di quasi 3 punti percentuali rispetto al marzo del 2016. Dati che fanno ancor più sorridere, se si pensa che gli analisti avevano previsto un rialzo congiunturale più contenuti. Secondo Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm, però, i segnali sono ancora prematuri: «Si tratta di dati positivi dopo la vampata di febbraio, ma non possiamo ancora farci prendere dall’ottimismo».
Gli esperti della società di consulenza finanziaria indipendente hanno evidenziato che, nonostante il buon risultato di marzo, l’industria nazionale resta comunque ingolfata, in attesa di segnali congiunturali migliori, ad un -0,3% giustificato dalla distribuzione durante le festività natalizie: «Queste sono senza dubbio buone notizie – aggiunge l’esperto britannico – ma non mancano le considerazioni amare se guardiamo alla rilevanza che industrie come quella automobilistica – che ha fatto registrare un +9,5% rispetto al 2016 – avevano avuto nel passato italiano».
Guardando al continente, l’industria italiana si piazza al secondo posto dietro la Germania, ed è per questo che tutta la produzione assume un’importanza non secondaria nella determinazione del risultato conclusivo che si riflette nel Prodotto Interno Lordo. Se guardiamo agli ultimi 5 anni, continuano i segnali positivi con lievi segnali di ripresa, ma molto, come evidenziato ancora una volta dall’Istat, dalle esportazioni: una conferma della buona immagine italiana nel mondo, ma ancora pochi sussulti provengono dal mercato interno.
Questi segnali hanno indotto diversi opinionisti ed esperti del settore a votarsi ad un cauto ottimismo: certo, la svolta è lontana, ma gran parte della spinta potrebbe anche arrivare dalla politica, che in un momento così delicato dovrebbe dare il giusto apporto favorendo un sistema fiscale agevolato. La strada è stata già tracciata dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, che ha invocato una politica industriale votata a premiare le competenze nazionali, a stimolare la crescita e a riattivare la circolazione del denaro contante, ma, come spesso accade, tra le parole e i fatti sussiste un’enorme differenza.
L’altra opinione diffusa è la mancanza di iniziativa dell’Italia nella protezione del proprio patrimonio industriale. Basta guardare all’erba del vicino per constatare che è più verde: negli ultimi 10 anni la Germania ha supportato il comparto automobilistico con 175 miliardi di euro, negli Stati Uniti Obama ha evitato il collasso del medesimo settore, l’Italia – come spesso accade – non ha fatto quanto poteva, ma la discriminante potrebbe essere legata anche alla scarsa manovra garantita dal gettito fiscale.
La chiave di volta è quindi quella di un ottimismo appena accennato e di un investimento moderato mirato alla diversificazione, come evidenzia lo stesso Richard Flax: «Non guardiamo al passato, concentriamoci su questa ripresa lenta nella speranza che non sia una falsa partenza. I dati macro nazionali portano ad un ottimismo moderato giustificato dallo stato di salute dimostrato dall’economia mondiale, e questi segnali potrebbero riguardare anche i mercati azionari, pronti ad avvantaggiarsi attraverso un miglioramento dei fondamentali e buone valutazioni. In attesa che l’industria si rimetta in moto e il suo motore riparta a pieni giri – conclude l’esperto della nota società italo-britannica – l’approccio diversificato deve essere il punto di riferimento di ogni investitore».