Infortunio in pausa caffè, la Cassazione dice no all’indennizzo

L’assicurazione comprende tutti i casi di incidente avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, senza coprire però i rischi generici, ovvero quelli derivanti da una scelta arbitraria del lavoratore

 

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 13545/2014, confermando quanto statuito dal Giudice di prime cure, ha riconosciuto il risarcimento del danno alla lavoratrice infortunatasi durante la pausa caffè mentre percorreva a piedi la strada di rientro presso la sede lavorativa.

Il Giudice di primo grado aveva riconosciuto alla lavoratrice il nesso eziologico con l’attività lavorativa considerato che la pausa era stata autorizzata dal datore di lavoro e all’interno della struttura non era presente il servizio bar.

La Corte di Appello ha ritenuto che l’evento fosse connesso e accessorio all’attività lavorativa e non ricorresse un’ipotesi di rischio elettivo. A seguito del ricorso in Cassazione da parte dell’Inail, la Suprema Corte con la sentenza n. 32473 dell’8/11/2021 ha riformato quanto stabilito, e riconosciuto, nei primi due gradi di giudizio.

Secondo la tesi dell’Inail, le circostanze che avrebbero caratterizzato l’infortunio non sarebbero state tali da ricondurlo nella nozione legale di occasione di lavoro così come specificata dall’art 2 d.P.R. n. 1144 del 1965, secondo cui l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, ovvero una inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. La lavoratrice, infatti, si era allontanata dal posto di lavoro per recarsi nel vicino bar e tale comportamento rientrerebbe in un rischio volontariamente assunto dalla dipendente, considerato che non si ravvisa nell’esigenza di prendere un caffè il carattere del necessario bisogno fisiologico che avrebbe consentito di mantenere la stretta connessione con l’attività lavorativa.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso dell’Inail, cassando la sentenza impugnata e ribaltando così le decisioni dei due gradi precedenti, stabilendo che, secondo l’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965, l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro ma non copre anche i rischi generici o elettivi, vale a dire quelli scaturiti da una scelta arbitraria del lavoratore che, mosso da impulsi e per soddisfare esigenze personali, crei volutamente una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa. Il rischio perché possa essere riconosciuto dall’Ente deve essere sempre connesso all’attività lavorativa o comunque non può essere scaturito cioè da una scelta del lavoratore che nessun legame ha con la sua mansione. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondate le censure mosse dall’Inail escludendo quindi «la indennizzabilità dell’infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell’ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, posto che la lavoratrice si è volontariamente esposta ad un rischio non connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa e incidente».