Intermediazione finanziaria: chi è responsabile per un investimento inadeguato?

La valutazione di adeguatezza di operazioni simili è sempre in capo all’intermediario, sulla cui professionalità il cliente fa affidamento

 

La Banca P.N. veniva citata in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di nullità del contratto di negoziazione, ricezione, trasmissione di ordini di strumenti finanziari, in virtu’ del quale aveva effettuato una serie di operazioni di investimento nell’arco temporale tra l’aprile e il dicembre 2000 con effetti negativi sul patrimonio dell’investitore, con conseguente condanna dell’istituto di credito al risarcimento di tutti i danni subiti.

Il Tribunale, adito i primo grado, rigettava la domanda.

Avverso tale decisione, l’investitore proponeva gravame, che veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello, la quale disattendeva la domanda di nullità del contratto di negoziazione e delle operazioni successivamente poste in essere per violazione degli obblighi comportamentali imposti all’intermediario finanziario dalla normativa di settore, mentre accoglieva la domanda di risarcimento del danno subito dall’investitore, decurtandone, però la liquidazione nella misura dell’80%, pari all’accertato concorso di colpa dello stesso danneggiato. L’investitore proponeva, pertanto, ricorso in Cassazione.

La Corte di Cassazione, Sez. I, con la sentenza n. 9892/2016, ha statuito che, in tema di intermediazione finanziaria, la pluralità degli obblighi (di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) previsti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a) e b), art. 28, comma 2, e art. 29 del Reg. CONSOB n. 11522 del 1998 (applicabile “ratione temporis”) e facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie, assolvono al fine di segnalare all’investitore la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (cd. “suitability rule”), in considerazione della sua accertata propensione al rischio.

Tale segnalazione deve contenere le seguenti indicazioni:
1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto;
2) la precisa individuazione del soggetto emittente;
3) il “rating” nel periodo di esecuzione dell’operazione e il connesso rapporto rendimento/rischio;
4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni c.d. di “grey market”);
5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente “default” dell’emittente (Cass. 1376/2016).

La banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente. A fronte di un’operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (cfr. Cass. 17340/2008; Cass. 22147/2010).

Sotto tale profilo, la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non può costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012).

Tale dichiarazione può, tutt’al più, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che, però, sia corredata da una, pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore e alla sua propensione al rischio, tali da poterne sconsigliare l’acquisto, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015).

La Banca inoltre non aveva provato, come era suo onere, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 comma 6) di avere avvertito il cliente, ai sensi dell’art. 29, comma 3, del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998, circa l’inadeguatezza di tali operazioni e di averle effettuate solo dopo avere ricevuto dal cliente medesimo un ordine scritto di eseguirle egualmente.
Peraltro viene evidenziato che perfino nel caso in cui tale ordine fosse stato, per ipotesi, impartito dal cliente, la responsabilità dell’istituto di credito non avrebbe potuto considerarsi esclusa. É configurabile infatti la responsabilità dell’intermediario finanziario che abbia dato corso ad un ordine, ancorché vincolante, ricevuto da un cliente non professionale, concernente un investimento particolarmente rischioso, poiché la professionalità del primo, su cui il secondo abbia ragionevolmente fatto affidamento in considerazione dello speciale rapporto contrattuale tra essi intercorrente, gli impone comunque di valutare l’adeguatezza di quell’operazione rispetto ai parametri di gestione concordati, con facoltà, peraltro, di recedere dall’incarico per giusta causa, ai sensi dell’art. 1722 c.c., comma 1, n. 3, e art. 1727 c.c., comma 1, qualora non ravvisi tale adeguatezza (Cass. 7922/2015; 1376/2016).

La Suprema Corte giunge così a formulare il principio di diritto, secondo cui nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente e quest’ultimo non rientri in alcuna delle categorie d’investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno, neppure per non essersi egli stesso informato della rischiosità dei titoli acquistati, poiché il particolare rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l’intermediario implica un grado di affidamento del primo alla professionalità del secondo che non può essere sostituito dall’onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte (Cass. 29864/2011).

Un concorso di colpa dell’investitore, può ravvisarsi, pertanto, nella sola specifica ipotesi in cui questi tenga un contegno significativamente anomalo, ovvero, sebbene a conoscenza (in quanto investitore qualificato) del complesso “iter” funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento, ometta di adottare comportamenti conformi alle regole dell’ordinaria diligenza o avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto professionale con il cliente e alle modalità di affidamento dei capitali da investire, così concorrendo al verificarsi dell’evento dannoso per inosservanza dei più elementari canoni di prudenza e oneri di cooperazione nel compimento dell’attività di investimento (Cass. 13259/2009; 18613/2015).