Chi ha una conoscenza approfondita dei processi di internazionalizzazione sa che le variabili in gioco sono molteplici, tutte da monitorare con la massima cautela se si vuole ottenere stabilità dell’azienda in un mercato estero. Il primo passo è non credere che sia tutto e solo una questione di export
Spesso del termine internazionalizzazione se ne fa un uso improprio, confondendolo con l’export, mentre quest’ultimo ne rappresenta solo una parte. Chi ha una conoscenza approfondita dei processi di internazionalizzazione sa che le variabili in gioco sono molteplici e tutte da monitorare con la massima cautela se si vuole ottenere stabilità dell’azienda in un mercato estero.
Per prima cosa una PMI con orientamento internazionale dovrebbe rivedere il concetto di catena del valore e identificare le attività suscettibili di generare margine e quelle che, invece, rappresentano solo un costo. In sostanza l’esercizio che bisognerebbe fare è quello di valutare se ogni singola funzione della catena del valore può essere delocalizzata nei mercati di esportazione, o se è meglio gestirla nella sede centrale. In questo modo è possibile capire quale processo conferisca valore qualora svolto su altri mercati. Per intenderci, un’azienda che svolge esclusivamente mere attività di export altro non fa che centralizzare nel proprio Paese quella determinata funzione.
Diversamente, aprendo un ufficio di rappresentanza o una filiale commerciale si potrà gestire in modo decentrato tutta una serie di funzioni e non solo quelle smaccatamente commerciali. Analizzando appunto le singole macro aree strategiche di un’impresa si avvierà anche un processo di ottimizzazione delle risorse aziendali. Per esempio alcune aree geografiche potrebbero essere utilizzate non solo come sbocco finale dei prodotti, ma anche come basi per raggiungere mercati limitrofi che spesso si rivelano difficilmente penetrabili dall’Italia (soprattutto nel Sud-Est asiatico e in alcuni paesi dell’Africa centrale).
In sostanza diventa più facile guardare ai mercati esteri, non solo con processi a valle della catena, appunto le Vendite, e in alcuni casi attività a monte, come Acquisti, ma guardando ad esempio alla R&D. Quest’ultima potrebbe essere condotta in parallelo in diversi Paesi consentendo risultati derivanti da culture diverse su prodotti destinati fin da subito a rispondere a esigenze globali. Altre opportunità possono derivare analizzando la gestione delle Risorse Umane di diverse culture e con capacità eterogenee, oppure la Finanza, accedendo ad altri sistemi e fonti di finanziamento che favoriscono il distacco da quelli che sono i sistemi finanziari imposti in un unico Paese.
Infine, non bisogna sottovalutare la gestione della Comunicazione e del Networking che favoriscono relazioni e legami internazionali che potranno generare ulteriori opportunità in altrettanti mercati (reazione a catena). In sostanza, un’azienda che avvia un processo di internazionalizzazione intraprende un processo di crescita interno che meglio si concretizza quando c’è un’estensione (o riproduzione) dell’azienda madre in altro Paese. Questo processo conduce a un riadattamento della natura stessa dell’impresa giacché l’organizzazione è obbligata a cooperare ai vari livelli sviluppando nuove sinergie.
Questa evoluzione si evidenzia maggiormente in una PMI che, avviando un processo all’estero, sarà obbligata a ristrutturarsi e, quindi, a formare un middle management con competenze anche internazionali.