La sola facilitazione delle regole del mercato del lavoro non è di per sé sufficiente a determinare l’aumento dell’occupazione ma senz’altro è un buon inizio che garantisce quanto meno quel sistema di flessibilità regolata proficua per imprese e lavoratori
In un precedente articolo, focalizzato sul contratto a termine, avevamo evidenziato come negli ultimi anni l’istituto sia stato oggetto di susseguenti e incisivi interventi riformatori. Con il recente DL 20 marzo 2014 n. 34, convertito in legge 16 maggio 2014, n. 78 tale assunto assume un carattere ancora più attuale. La Riforma “Poletti”, dopo quella “Giovannini” del 2013 e “Fornero” del 2012 interviene infatti nuovamente sulla disciplina del contratto a tempo determinato di cui al D.Lgs. 368/2001, oltreché sulla somministrazione di lavoro e sull’apprendistato.
Per quanto concerne il contratto a termine il recente provvedimento di riforma elimina la necessità di indicare le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo per la stipula del contratto, potenziando il percorso avviato nel 2012 dalla Riforma Fornero che prevedeva tale possibilità solo per i primi 12 mesi. Acausalità per 36 mesi e – altra novità – possibilità di effettuare 5 proroghe in detto arco temporale. La previgente disciplina consentiva una sola proroga (il DL, nella prima stesura, le aveva portate ad otto, la legge di conversione le ha ridotte a cinque).
Nulla cambia in tema di reiterazione del contratto a termine e di intervalli temporali intercorrenti tra un contratto e l’altro (c.d. stop and go). A contraltare di tale flessibilizzazione, il legislatore ha introdotto un limite quantitativo del 20% alla stipula di contratti a termine, calcolato rispetto al numero di lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Tale limite può essere derogato solo dalla contrattazione di livello nazionale, con la precisazione che se il CCNL individua dei limiti quantitativi collegati a determinate causali, questi ultimi non operano e si applica il limite legale. Per essere valide, le limitazioni contrattuali devono essere riferite alla generalità dei contratti a termine. Su quest’ultimo punto attendiamo con interesse l’evoluzione dei CCNL per capire come regolamenteranno tale fattispecie e in particolare se delegheranno il livello aziendale (come da noi auspicato) e in che misura.
La norma esclude dal limite quantitativo una serie di ipotesi tra le quali le attività stagionali (ai sensi dell’art. 5, comma 4 ter del D.Lgs. 368/2001), le fasi di avvio di nuove attività (come individuate dai CCNL) e i contratti sottoscritti per ragioni sostitutive. In caso di superamento della soglia, il legislatore introduce una sanzione amministrativa che si ritiene sostitutiva della conversione a tempo indeterminato. I datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti possono comunque stipulare un contratto a termine. La riforma introduce nuove disposizioni in merito al diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato di cui all’art. 5, comma 4 quater, D.Lgs. 368/2001. In particolare, ai fini del raggiungimento dei sei mesi di attività lavorativa con uno o più contratti a termine presso la stessa azienda utili alla maturazione del diritto, si prevede che entri nel computo anche il periodo di congedo di maternità. Si specifica altresì che nel contratto individuale con il lavoratore venga espressamente richiamata la disposizione che regola il diritto di precedenza. Oltre che il contratto a termine, la Riforma passa in rassegna altri istituti contrattuali tra cui la somministrazione a tempo determinato e l’apprendistato. Per quanto concerne la prima, come per il contratto a termine viene eliminato il requisito della causale nel contratto commerciale stipulato tra l’utilizzatore e Agenzia per il lavoro. Diversamente dal tempo determinato, il legislatore non introduce limiti quantitativi all’istituto, demandando tale facoltà esclusivamente alla contrattazione collettiva nazionale.
Emerge quindi una differenza di approccio alla riforma dei due istituti: acausalità per termine e somministrazione, limitazione quantitativa legale solo per il tempo determinato. Pertanto, se gli accordi collettivi nazionali contengono clausole di contingentamento alla somministrazione, le imprese saranno tenute all’osservanza, in caso contrario, i datori non avranno limiti quantitativi al riscorso all’istituto.
É evidente come tutte le variabili legislative fino ad adesso evidenziate debbano essere incastrate come pezzi di un “puzzle” ad opera di chi effettua la pianificazione degli ingressi di personale in azienda per gestire al meglio i flussi produttivi (spesso altalenanti) imposti dal mercato.
Come ogni riforma del mercato del lavoro emanata negli ultimi anni, il legislatore interviene anche sul contratto di apprendistato al fine di semplificarlo e renderlo maggiormente fruibile alle imprese. Sulla base di tale prospettiva il Decreto Legge aveva inizialmente eliminato l’obbligo di redigere il piano formativo individuale in forma scritta ma la legge di conversione ha ripristinato tale adempimento prevedendo che lo stesso possa essere redatto anche in forma sintetica ed in base a moduli o formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali. Chi scrive condivide l’impostazione della legge di conversione non per amore di complicazione ma per esigenza di certezza e definizione ab initio di un percorso formativo che rappresenta l’elemento qualificante del contratto di apprendistato e che lo distingue dalle altre forme contrattuali. Si prevede poi per i datori di lavoro che occupino almeno cinquanta dipendenti una percentuale di conferma per l’assunzione di nuovi apprendisti pari al 20% di quelli avviati nei 36 mesi precedenti, salvo diverse previsioni contrattuali (il decreto legge ante conversione aveva eliminato tout court le percentuali di conferma). Tra le altre novità introdotte dalla Riforma riteniamo meritevole di approfondimento quella sulla formazione di base e trasversale nell’apprendistato professionalizzante. Come noto, le Regioni sono tenute ad integrare il piano formativo definito dall’Azienda con l’offerta della formazione di base e trasversale. Prima dell’entrata in vigore del Decreto si riteneva (con qualche punto interrogativo) che la formazione di base fosse meramente eventuale e il primo provvedimento ne aveva chiarito la facoltatività. La legge di conversione ha invece introdotto un nuovo sistema, ovvero ha previsto un termine di 45 giorni a decorrere dall’inizio del contratto entro cui la Regione è tenuta a comunicare al datore di lavoro le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste. Decorso tale termine, si ritiene che il datore possa limitarsi ad applicare le sole disposizioni contrattuali vigenti.
Nel complesso giudichiamo sicuramente positivo lo spirito di semplificazione che sembra aver animato l’estensore del provvedimento. Siamo convinti che la sola facilitazione delle regole del mercato del lavoro non determini di per sé l’aumento dell’occupazione ma riteniamo che in ogni caso sia una partita da giocare fino all’ultimo minuto, per evitare che fattori quali il quadro normativo farraginoso, le incertezze interpretative e i connessi contenziosi giudiziari si aggiungano alle variabili strategiche che influenzano (in negativo) le scelte di investimento. In questa stessa ottica siamo persuasi dal concetto che le forme contrattuali che abbiamo analizzato, seppur non a tempo indeterminato, siano atte a garantire quel sistema di flessibilità regolata proficua per imprese e lavoratori.