Alle nuvole l’artista ha dedicato, negli anni (e oggi la miniretrospettiva Cielitudine ne percorre le tappe fino al 29 febbraio, al Marte di Cava de’ Tirreni), una serie di riflessioni accattivanti e disarmanti per accorciare le distanze con la propria infanzia e con l’infanzia dell’uomo, per disegnare unità minime di senso, per fermare in un riquadro critico passionale e sperimentale, il proprio silenzio del cielo
Protagoniste silenziose del cielo, le nuvole percorrono da sempre il palcoscenico luminoso dell’arte per esaudire il desiderio umano di padroneggiare il fuggevole e l’etereo, di bloccare le forze della natura, di offrire fertili scenografie creative, allegorie gloriose sulla finitudine e sul mutare costante delle cose, sullo splendore e sul mistero delle divinità.
Aderenti al divenire dell’immaginazione, le varie dimensioni idrometeoriche sono infatti fonte d’ispirazione privilegiata dall’artista per disegnare la mappa transeunda del cielo e azionare indici riflessivi che, se da una parte non vogliono comunicare in forma diretta, dall’altra producono una eco da cogliere al volo, una quiete da osservare senza essere costretti a giustificarla.
Dai pulviscoli dorati dei mosaici bizantini ai primi cieli azzurri e nuvolosi affrescati da Giotto, dagli sfondamenti illusionistici di Tiepolo alle atmosfere ottocentesche di Constable, Turner o Monet, per giungere via via ai congelamenti fumettistici di Lichtenstein, all’Infinito (1974) di Luigi Ghirri e alle recenti conquiste ecnoestetiche di Donato Piccolo, di Berndnaut Smilde o di Leandro Erlich, la storia del cielo e delle mille e una nuvole che gravitano nel panorama dell’arte mostra l’attitudine comune di modellare, di rappresentare o presentare un archetipo dell’immaginario collettivo per farlo esplodere in diverse direzioni e di aggiungere al suo interno sempre nuovi dati.
Alle nuvole – non è forse Nuvola il nome di una sua figlia? – Pietro Lista ha dedicato, negli anni (e oggi la miniretrospettiva Cielitudine ne percorre le tappe fino al 29 febbraio, al Marte di Cava de’ Tirreni), una serie di riflessioni accattivanti e disarmanti per accorciare le distanze con la propria infanzia e con l’infanzia dell’uomo, per disegnare unità minime di senso, per fermare in un riquadro critico passionale e sperimentale, il proprio silenzio del cielo.
Nel febbraio del 1968, dopo aver costituito il Gruppo Teatrale Artaud e pubblicato il manifesto Il verbo sorge dal sonno come un fiore, Lista avvia infatti il suo lungo racconto celeste con lo scopo di evidenziare un discorso irrinunciabile sulle Nuvole e sulle varie Cielitudini esposte alla Galleria Civica di Reggio Emilia.
Indicatore del cielo, la nuvola è per lui lo strumento formale utile a coniugare «certe caratteristiche della Pop Art con l’intelligenza e il distacco del conceptual», ma anche il dispositivo ascoso di una geometria celeste, di un erotismo sottile che si allaccia indicibilmente al corpo e a un’attitudine compositiva che si spinge al di là del dipinto con una progressione «che si trova ora come in bilico, in una forte tensione, tra il muro che ancora lo trattiene e lo spazio esterno che gli si apre».
Alimentato dalla poetica dell’effimero, e in linea con l’Arte Povera che cavalca sin dalle sue prime manifestazioni, il mondo offerto dalle nuvole spinge l’artista «a sognare aquiloni di nuvole, luci che illuminano il cielo, suggestioni sonore, piogge colorate, in breve veri e propri spettacoli barocchi».
Così, nell’arco di un decennio, accanto alle gabbie, alle reti, ai graffi e agli spazi pubblici presi di mira per consumare l’arte in tempo reale, Lista, con selvaggio e raffinato cannibalismo (Bonuomo), ostruisce un progetto nuagista sul cosmo e sul tema iconografico della nuvola che rappresenta il simbolo, il luogo topologico dal quale partire per familiarizzare con il pensiero magico e ideare «eventi celesti in cui esplode una inesauribile ironia: nuvole per cancellare il cielo o per trasformare l’orizzonte, studi per creare il silenzio nel cielo o per realizzare» paesaggi assolutamente inediti.
«L’orchestrazione visiva del firmamento è», per lui, «tema di una progettualità infinita che si propone, per metonimia di segno, come “imagerie” ludica e fantastica, ma anche come grossa metafora di operare concreto sulle strutture del mondo reale». Sul finire del 1970 e precisamente quando presenta nella collettiva Rassegna d’Arte del Mezzogiorno (Palazzo Reale di Napoli) diverse opere riunite in due temi cardinali, Silenzio nel cielo e Eclissi di nuvola, appare chiaro, in Lista, almeno fino a Dove nasce la storia del cielo (1976), il desiderio di declinare lo spettro nefologico in un discorso che scorre sulla superficie con nuvole di sabbia, nuvole di legno avvitate a supporti materici, nuvole di ferro e cemento, nuvole numerate, nuvole colorate, nuvole rimosse, nuvole disegnate e nuvole scrittomorfe che diventano segni plastici, formemi, cromemi, grafemi in dialogo con lo spazio.
L’esigenza di percepire l’arte come un esercizio e la volontà di condurla alla sua grammatica interna, inducono Lista a formulare, dunque, una propria storia del cielo e a concepire un progetto categoriale, un catalogo, «un linguaggio ridotto ad un alfabeto elementare» dove ogni materiale propone la corrispondenza con una particolarità relativa e specifica che si adatta all’immagine della nuvola per esasperarla e darne una esperienza percettiva diversa.
Un invito Nel cielo fatto di progetti + rumori elettronici (1972), l’omaggio al capo indiano Nuvola rossa (1974), una piccola Eclissi di nuvola (1974), 3 nuvole per una pioggia colorata (1974), una Possibile tempesta e il Progetto n. III6 per un cielo che racconta i sogni senza data, accanto a due teloni del 1974, al manifesto della Cielitudine e a una splendida Nuvola lignea del 1970 rappresentano, oggi, in questa microretrospettiva decennale che restituisce l’ideologia celeste di Lista, l’orizzonte minimo di un’atmosfera dove i fulmini hanno il colore dell’arcobaleno, dove l’aeiuo del cielo (Rimbaud) pensa ad una nuvola lasciata distrattamente sul comodino, e dove gli elementi dello spazio celeste diventano i segni di un codice cifrato attraverso il quale si può parlare dell’uomo e della sua storia.