Bisogna capire che la sfida non è al proprio interno ma tra l’Unione tutta e il mondo esterno. La crescita va considerata non come fine, ma come precondizione per ridurre ed eliminare diseguaglianze e povertà
È passato quasi un anno dalla mia elezione e ci avviamo all’assemblea di maggio, tempo di bilanci e riflessioni. Nella nostra relazione dello scorso anno avevamo segnalato che la crescita era la grande sfida del Paese, lo abbiamo fatto anche partendo delle potenzialità del sistema industriale italiano e indicando che piccolo è una condizione da superare. Abbiamo indicato la nostra idea di politica economica e chiarito che non chiediamo alcun scambio alla politica ma un Paese competitivo che non individui i settori del futuro ma i fattori su cui intervenire. In tale direzione si sono mosse alcune scelte del Governo a partire dalla legge di bilancio 2016 che ha previsto super ammortamenti e iper ammortamenti, potenziato il fondo di garanzia, confermato la Sabatini e introdotto i digital hub elevando la soglia di tassazione più favorevole per i premi ai dipendenti relativi ai contratti di secondo livello aziendale fino ad arrivare alla maggiore intensità al credito di imposta per chi investe nelle regioni come la Campania dove le piccole imprese riescono a ottenere fino al 40 e le medie fino al 30 per cento di beneficio fiscale.
Anche questo è un fattore premiante per chi investe, in linea con la nostra idea che al Paese serva un’unica Politica economica che preveda strumenti di maggiore intensità al Sud tanto per citare alcuni aspetti della Questione Italiana la cui inversione di tendenza è chiara anche se per tornare ai livelli di prima il 2008 dovremo fare ancora molta strada.
Abbiamo ben chiaro come dovrà essere l’industria italiana e occidentale del futuro: ad alto valore aggiunto, alta intensità di investimenti e alta intensità di produttività. E aver elevato il tetto della maggiore detassazione per i premi aziendali indirizza le relazioni industriali verso lo scambio tra salari e produttività. A livello sindacale abbiamo sottoscritto un accordo che consente anche alle piccole imprese di usufruire di una misura così importante.
A partire da ottobre 2016 a Bolzano e poi a Berlino ci siamo confrontati con la Bdi, la Confindustria tedesca, con cui abbiamo sottoscritto due documenti: il primo sulla centralità della questione industriale in Europa dove occorre capire che la sfida non è al proprio interno ma tra l’Unione tutta e il mondo esterno (ed è significativo che ciò sia avvenuto prima della vittoria di Trump in Usa); il secondo sulla questione bancaria cominciando dalla garanzia dei depositi. Fino ad arrivare, qualche settimana fa, all’incontro a Roma di Business Europe – la federazione delle Confindustrie Europee presieduta da Emma Marcegaglia – da cui è emerso un documento sottoscritto da tutti i colleghi in linea con gli auspici e le indicazioni di Confindustria e BDI. Come si comprende è stato un lavoro bilaterale e multilaterale giunto a una ottima sintesi di pensiero comune.
A fine marzo, inoltre, abbiamo ospitato da noi in Confindustria il B7 che riunisce le organizzazioni industriali dei Paesi del G7 ed è utile segnalare due risultati particolarmente interessanti: il primo è che il presidente dell’Associazione americana ha firmato con tutti noi un appello contro il protezionismo; il secondo è la condivisione di un’idea di Industria 4.0 per una Società 4.0. Significa, in sostanza, l’accettazione di quello che in Italia stiamo dicendo da tempo e cioè di considerare la crescita non come fine ma come precondizione per ridurre ed eliminare diseguaglianze e povertà. Nasce così la proposta per l’inclusione dei giovani nel mondo del lavoro attraverso la decontribuzione nei primi anni di assunzione.
Tutto ciò in un’Italia, il nostro Paese, in cui solo il 30 per cento della popolazione sa che in Europa siamo secondi per forza manifatturiera solo alla Germania. Un motivo in più per continuare a lavorare sodo nei prossimi anni dentro e fuori le nostre Fabbriche.