L’Italia riparte, stabilità grande occasione per rilancio

Giorgio SquinziIl clima sta cambiando. Questa l’indicazione emersa dalle nuove previsioni del Centro Studi Confindustria che ha rivisto al rialzo le stime per il Pil italiano: un +1% quest’anno, +1,5% il prossimo, grazie soprattutto alla spinta che arriva da diversi fattori esterni – tra tutti, l’ulteriore riduzione del prezzo del petrolio – che contribuiscono a rafforzare un quadro che, finalmente, volge al positivo. 

Non solo. L’occupazione aumenta e anche gli ultimi dati Istat sulla fiducia di imprese e consumatori – ai livelli più alti registrati dall’inizio della crisi – sono altrettanti segnali di ripartenza che, però, vanno consolidati. E in fretta.
L’occasione è proprio nella spinta aggiuntiva di quei fattori esterni: una finestra di opportunità incredibile, ma destinata a esaurirsi nel giro di un paio d’anni.
Dobbiamo muoverci, andare avanti con decisione se vogliamo trasformare questo iniziale recupero in una crescita stabile e duratura. E la parola chiave è sempre quella: riforme.
Il Governo ha avviato un percorso importante, ha adottato una serie di misure che hanno avuto ricadute positive – basta pensare a quanto accaduto in materia di lavoro – e ha annunciato che ne prenderà delle altre.
Bene, perché su una cosa dobbiamo essere chiari: in assenza di politiche che accelerino la ripartenza, rischiamo non solo di non agganciare la crescita che ci servirebbe – almeno un 2% annuo – ma di tornare allo zero virgola. Non possiamo permettercelo.

L’economia italiana ha bisogno urgente di politiche e provvedimenti ambiziosi. Dobbiamo rimettere l’industria, il manifatturiero, al centro di una vera politica industriale, perché, come ripeto spesso con profonda convinzione, non c’è ripresa senza impresa. La crescita, l’occupazione, lo sviluppo vengono dalle imprese. La Legge di Stabilità su cui il Governo sta lavorando può essere il primo determinante tassello di una strategia articolata per rilanciare gli investimenti, pubblici e privati, consolidare la riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro, investire in ricerca e innovazione, sostenere l’internazionalizzazione delle imprese. Pilastri fondamentali su cui puntare per mettere in moto la crescita e la competitività del Paese, soprattutto delle regioni meridionali.
Nel Mezzogiorno, infatti, il rilancio degli investimenti pubblici e privati è ancora più necessario e promette straordinari ritorni per lo sviluppo non solo di quelle regioni, ma di tutto il paese.

Al Sud sono concentrati i maggiori ritardi nella qualità e nella quantità dei servizi pubblici, nella dotazione infrastrutturale, nei livelli di partecipazione al lavoro, nel grado di innovazione. Ma ci sono anche straordinarie opportunità di crescita, grazie a un tessuto imprenditoriale diffuso che sta mostrando coraggio, dinamismo, capacità di ripartire.

Le imprese ci sono e sono pronte.
Di recente, nella riunione del Consiglio Generale di Confindustria che si è tenuto a Taranto, abbiamo anche discusso e approvato una serie di proposte specifiche per il Sud: da un credito di imposta almeno triennale per l’acquisizione di beni strumentali nuovi, al rifinanziamento dei contratti di sviluppo, al potenziamento degli strumenti di garanzia per favorire l’accesso al credito, all’utilizzo di voucher per l’internazionalizzazione, alla definizione di un piano per le infrastrutture che dia attuazione, con tempi e risorse certi, agli interventi già definiti in materia di ferrovie, porti, aeroporti, strade, autostrade, dissesto idrogeologico, beni culturali, edilizia scolastica, riqualificazione urbana.

 

Abbiamo poi sottolineato l’assoluta necessità che il Governo spinga con forza l’acceleratore sull’utilizzo dei fondi strutturali, sfruttando tutto il margine della flessibilità europea per rilanciare gli investimenti pubblici, anche battendo i pugni sul tavolo di Bruxelles.
La scadenza del 31 dicembre 2015 per i programmi 2007-13 è ormai imminente e non possiamo perdere tempo.
Così come non va perso tempo per l’avvio dei programmi 2014-20, già in forte ritardo. Parliamo di una cifra complessiva di 100 miliardi di euro: vogliamo davvero perderli?
L’ho detto prima e lo ripeto, le imprese ci sono e sono pronte a fare la loro parte.
Non è una frase retorica, ma quello che ho modo di verificare personalmente tutti i giorni come imprenditore e come presidente di Confindustria. Nessuno di noi ha perso la voglia di fare e di battersi per le nostre imprese, i nostri dipendenti, i nostri territori, il nostro Paese.
Siamo la quinta potenza industriale e l’ottava economia al mondo: lo siamo diventati non per materie prime o risorse energetiche, ma solo grazie a noi stessi: ritroviamo quello spirito e facciamo vedere a tutti di cosa siamo capaci.