L’Italia cresce consolidando la leadership nell’utilizzo dei sistemi di ADR: secondo il “Doing business” infatti il nostro Paese, che si era attestato nel rapporto 2012 al 160° posto e nel 2013 al 140° posto, si posiziona quest’anno al 111° posto rispetto al 124° posto dell’anno scorso (riclassificato secondo i nuovi criteri) sui 189 Paesi esaminati
Sono trascorsi due anni dalla riforma della mediazione delle controversie civili e commerciali che, nel ripristinare la mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in una serie di materie, ha riavviato un percorso per lo più letto in chiave deflativa della congestione della giustizia civile italiana.
Invero, occorre ricordare che il legislatore nel reintrodurre l’obbligatorietà dopo la pronuncia di incostituzionalità della Consulta nel dicembre del 2012 per un eccesso di delega da parte del Governo, aveva stabilito un termine di efficacia a tale previsione. E ciò significa che nel settembre 2017 – in assenza di una disposizione legislativa che rinnovi tale determinazione normativa – l’obbligatorietà cesserà automaticamente essendo stata reintrodotta con un obiettivo sperimentale. Infatti si accompagna a tale limite temporale e alla scadenza del primo biennio – settembre 2015 – anche la previsione dell’attivazione su iniziativa del Ministero della Giustizia di un monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione.
È noto che il Dicastero di via Arenula, che vigila sul “sistema mediazione”, trimestralmente pubblica i dati statistici elaborati sulla base dei dati trasmessi dagli organismi di mediazione che costituiscono la base indispensabile per un monitoraggio che non potrà tuttavia prescindere da una rilevazione e dall’ascolto e da un confronto con gli operatori oltre che con gli utenti della mediazione.
Ciò che è certo è che si registra una inversione di tendenza nella crescita dell’arretrato civile proprio in coincidenza con l’avvio nel 2010 della mediazione civile e commerciale (e in particolare con la prima fase dell’obbligatorietà in vigore dal marzo del 2011). Ciò appare tanto più vero rilevando come nel 2013 – in esito alla citata sentenza della Corte costituzionale che aveva fatto venir meno l’obbligatorietà – le nuove cause crescevano nuovamente del 5,3%.
Il ripristino dell’obbligatorietà (che riguarda una quota pari solo all’8% del contenzioso civile), connesso ad una revisione del modello di mediazione (introduzione della sostanziale gratuità del primo incontro in esito al mancato accordo, necessaria assistenza legale, competenza territoriale degli organismi, valenza esecutiva dell’accordo con la sottoscrizione degli avvocati, etc.), fa segnare dopo due anni di sperimentazione dati estremamente positivi: le mediazioni supereranno sicuramente le 200.000 unità al termine del 2015 e il tasso di successo tende ad assestarsi in circa il 50% quando le parti decidono di proseguire oltre il primo incontro. Ma ciò che appare il dato più significativo è la diminuzione delle nuove cause nelle materie oggetto di obbligatorietà preventiva che è pari al doppio rispetto alla media di tutto il civile. Al contrario, i primi dati informali sulle nuove forme stragiudiziali introdotte nel 2014 sono abbastanza deludenti: poche centinaia di negoziazioni assistite nel civile (escludendo i buoni dati in materia di separazione e divorzio) e non sono tuttora noti arbitrati traslati in corso di causa verso gli Ordini forensi.
Occorre, tuttavia, ricordare che nel 2014 sono stati introdotti anche una serie di provvedimenti diretti a sanzionare economicamente chi ricorre o resiste in giudizio nella consapevolezza di essere nel torto e lucrando sulla durata del processo. L’obiettivo di scoraggiare tattiche dilatorie da parte del debitore o, comunque, del soccombente è stato perseguito inserendo limitazioni alla compensazione delle spese giudiziali e prevedendo un ben più elevato tasso di interesse (quello previsto per le transazioni commerciali) dopo l’avvio del processo rispetto agli interessi legali.
Segnali dunque positivi come quelli che di recente sono stati resi noti in un rapporto che annualmente fornisce una serie di indicatori utili per fare impresa. Si tratta dell’ormai noto “Doing business” (World Bank) che, tra gli altri dati, fornisce alle imprese anche uno specifico indicatore sulla giustizia civile (enforcing contracts) e, quindi, in particolare sulla celerità dei processi, oltre che sui costi necessari a tutelare in quella sede i propri diritti.
Ebbene, negli ultimi anni, dopo molti anni, il rapporto segnala una interessante variazione di tendenza. L’Italia, che si era attestata nel rapporto 2012 al 160° posto e nel 2013 al 140° posto, si posiziona quest’anno al 111° posto rispetto al 124° posto dell’anno scorso (riclassificato secondo i nuovi criteri) sui 189 Paesi esaminati.
Il nuovo rapporto prende in considerazione per la prima volta tre sub-indici: tempi, costi e, novità del rapporto 2016, qualità delle procedure giudiziarie. Dall’esame dei dati emerge come, negli ultimi 5 anni, nei primi due sub-indici si rilevi un lento miglioramento. Il netto miglioramento nella classifica dipende infatti dal terzo sub-indice introdotto dalla Banca Mondiale solo quest’anno in sostituzione del numero di procedure necessarie utilizzato negli anni precedenti, in relazione al quale l’Italia con il punteggio di 13 su 18 si attesta sopra la media dei paesi OCSE (media di 11) e della Francia e Germania (di 12). In questo caso, i ricercatori con una serie complessa di domande hanno chiesto di valutare su una scala di punteggio la qualità delle procedure giudiziali. E si può notare che l’unico indice in cui l’Italia ottiene il massimo punteggio disponibile (3 su 3) è quello della presenza delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie e degli incentivi al loro ricorso. Non è un caso, infatti, che in questi ultimi mesi molti governi europei ed extra-comunitari stiano esaminando a fondo gli ottimi risultati prodotti dal nuovo modello di mediazione italiano basato sulla partecipazione ad un primo incontro tra le parti e il mediatore.
Peraltro, il definitivo avvio nel 2016 delle nuove procedure di ADR (Alternative Dispute Resolution) per la soluzione delle controversie tra consumatori e imprese allargherà ulteriormente e consoliderà il sistema italiano di mediazione (anche con un ampliamento ed eventualmente con una rimodulazione delle materie per la obbligatorietà) e di tutti quei procedimenti che in tempi rapidi, con costi ridotti ed efficacemente, consentiranno di incidere positivamente sul riallineamento del sistema della giustizia civile.