Se la regione si dotasse di un piano pluriennale per la cultura, che includa tutti i segmenti rilevanti (musei, archivi e biblioteche, beni archeologici, festival e manifestazioni), si avrebbe certezza dei finanziamenti su un arco temporale superiore all’anno, una prospettiva di policy di medio periodo e sarebbero possibili politiche selettive
Il settore dei beni culturali – che rientra tra le principali economie analizzate da SRM (Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) – si inquadra in un contesto nazionale di vera e propria esplosione della domanda negli ultimi dieci anni, incurante della crisi economica. Nonostante l’incremento dell’offerta (soprattutto di parchi archeologici), la domanda rende sempre più affollate le strutture museali ed espositive di tutto il Paese, grazie ad un elevato consumo culturale dei residenti combinato con la dinamica del turismo internazionale, favorita anche da fattori geopolitici, che spostano il baricentro del turismo mediterraneo verso l’Italia.
In questo dinamico contesto nazionale, per la Campania emerge il quadro di una regione di assoluta eccellenza per capacità di attrazione di consumi culturali e per offerta, che si configura come un hub di fruizione culturale per l’intero Mezzogiorno. Infatti, l’offerta culturale e museale campana, che appare piuttosto stabile, negli ultimi anni (+2,3% tra 2011-15), non evidenziando grandi variazioni nel numero delle strutture, è più rilevante rispetto al dato meridionale: in Campania, infatti, esistono 3,7 strutture culturali, archeologiche o monumentali per 100.000 abitanti, a fronte di 1,2 per l’intero Meridione. Tale rilevante capacità di attrazione, però, si concentra in modo diseguale nel territorio regionale, essendo perlopiù focalizzata sull’asse Napoli-Pompei, e in misura minore sull’area di Salerno e sulla città di Caserta, nonostante le rilevanti risorse potenziali, insufficientemente valorizzate, anche delle aree interne della regione. L’offerta esistente appare peraltro da organizzare meglio, se si guarda ad un parametro quale l’integrazione in circuiti, che rappresenta un fattore di leva importante per valorizzare le strutture, perché consente a ciascun istituto che vi partecipa di usufruire, oltre che del potenziale di interesse suo proprio, anche dell’attrattività di tutti gli altri, in un gioco di miglioramento complessivo del sistema culturale territoriale. Su tale aspetto, la Campania deve ancora lavorare per essere all’altezza del dato medio nazionale relativo al numero di strutture collegate da un circuito.
Un ulteriore parametro di qualità è dato dalla presenza di servizi accessori dentro i musei. Il sistema museale campano offre, in percentuali più alte rispetto alle medie meridionale e nazionale il servizio di archivio, restauro, ricerca, convegnistica. In un certo senso, l’attività scientifica e tecnica che ruota attorno ad un museo è ben rappresentata nelle strutture regionali, mentre manca qualcosa in termini di promozione/fruibilità (la presenza di siti web, sotto il primo aspetto, le strutture per disabili, per il secondo) e di servizi di leisure accessori (ristorazione). Evidentemente, una relativa carenza dei citati servizi incide negativamente sulla capacità attrattiva e sul bacino di mercato delle strutture museali campane. Si tratta, pertanto, di elementi sui quali lavorare, in termini di investimenti, per migliorare la dotazione.
Non solo la Campania ha un bacino di mercato culturale consolidato che ne fa, come detto, un hub per tutto il Mezzogiorno (la Campania ha ben sette strutture museali fra le prime trenta d’Italia per visitatori, con gli scavi di Pompei al secondo posto e la Reggia di Caserta al nono) ma le dinamiche di crescita della domanda sono più rapide sia rispetto al Mezzogiorno sia, anche, in confronto con la media nazionale. Il numero di visitatori degli istituti statali e non, cresce infatti di ben il 35,4% fra 2011 e 2015, una dinamica superiore di quasi sei volte rispetto a quella nazionale. Ciò porta ad una incidenza dei visitatori sulla popolazione sensibilmente più rilevante rispetto al resto del Sud e sostanzialmente allineata al dato italiano. Tali risultati sono il segno, oltre che, ovviamente, di una offerta di grande qualità (il che però è un dato comune a molte altre regioni italiane e meridionali) anche di politiche regionali e locali di promozione dell’offerta culturale particolarmente attive ed efficaci, di una sensibilità particolare da parte del policy maker campano rispetto alla valorizzazione del proprio patrimonio culturale.
L’esplosione della domanda culturale campana in questi anni ha radici sia nei residenti, che nel turismo esterno. Sotto il primo profilo, con una spesa media mensile di 113,19 euro, la famiglia media campana spende per cultura più del resto del Mezzogiorno, ma nettamente meno rispetto alla media. Va tuttavia rimarcato che, mentre a livello meridionale e nazionale, a causa della crisi economica, la spesa in attività culturali e spettacolari o ricreative è stata compressa negli ultimi sei anni, essa è invece cresciuta in modo vivace in Campania, recuperando parzialmente il gap con la media nazionale.
Il turismo, specie quello internazionale, è sempre più attratto dal patrimonio regionale, come attesta il fatto che Napoli sia la sesta città italiana di interesse storico-culturale, e la prima nel Sud, per presenze nel 2015, superando città d’arte conosciute internazionalmente, come Bologna, Verona o Pisa e ovviamente le altre metropoli del Sud che hanno rilevanza culturale specifica.
Le aree di ulteriore sviluppo del bacino culturale regionale provengono, oltre che dalle aree interne della regione e dal loro patrimonio spesso poco conosciuto (Sannio, Irpinia, per certi versi Cilento) anche da una migliore valorizzazione degli istituti museali non statali. Se, infatti, nel comparto statale per numero di istituti la Campania è la terza regione italiana (dopo Lazio e Sicilia) e il suo indice specifico di domanda (visitatori per istituto) è pari a più del doppio della media meridionale, in quello non statale, la Campania scivola al tredicesimo posto fra le regioni italiane e il suo indice specifico di domanda, pur rimanendo più alto delle medie del Sud e del Paese, è però a queste più vicino.
Per quanto riguarda le politiche possibili per il settore, va rilevato come la Regione ponga già attenzione specifica al patrimonio culturale, utilizzando il PO FESR, con un finanziamento di 118,76 Meuro, al fine di promuovere la valorizzazione culturale. Tale intervento va però, da un lato, reso selettivo e dall’altro organico. Si propone quindi di adottare, in linea con quanto già fanno alcune Regioni (ad es. la Toscana) un piano regionale pluriennale per la cultura, che includa tutti i segmenti rilevanti (musei, archivi e biblioteche, beni archeologici, festival e manifestazioni). Una simile scelta conferirebbe certezza dei finanziamenti su un arco temporale superiore all’anno, una prospettiva di policy di medio periodo e consentirebbe di rendere selettive le politiche. Va data priorità poi alle aree interne, a beni sottovalorizzati, anche prima del finanziamento diretto all’istituto, mediante opportune politiche di promozione di tali beni, sconosciuti, presso i mercati potenziali, integrandoli dentro itinerari turistici che partano dai beni-attrattori (quelli più rilevanti in termini di presenze) e si diramino verso quelli ancora poco visitati. Va inoltre posto rilievo ai servizi accessori e, in particolare, a quelli che sono risultati essere insufficienti, in termini di dotazione, rispetto alla media nazionale finanziandone la realizzazione.
Infine va posto rilievo alla promozione dell’offerta culturale campana con opportuni investimenti di marketing, ma anche con accordi specifici con i tour operator, volti ad inserire nei pacchetti anche l’offerta sottovalorizzata della regione.