La conciliazione delle liti energetiche

Prima di rivolgersi al giudice, per risolvere le controversie relative a reclami con gli operatori, i consumatori devono tentare questa strada alternativa. Vediamo come

Dal 1° gennaio 2017 i clienti di energia elettrica e gas, domestici e non, inclusi i prosumer (cioè coloro che sono allo stesso tempo produttori e consumatori di energia elettrica), prima di rivolgersi al giudice, devono tentare la conciliazione per risolvere le controversie relative a reclami con gli operatori.

È infatti in vigore da ormai un anno quanto previsto dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) con il testo integrato conciliazione (TICO) che regolamenta il procedimento di conciliazione al quale le imprese invitate dagli utenti sono obbligate a partecipare. Dopo l’esito negativo del reclamo proposto dal cliente all’operatore, è necessario avviare il procedimento di conciliazione che deve concludersi entro 90 giorni. E sarà operativo progressivamente anche per gli altri settori regolati (come ad esempio per le forniture idriche).

Il tentativo di conciliazione obbligatorio si svolge a titolo gratuito online per il cliente presso il Servizio conciliazione clienti energia dell’Autorità ovvero in alternativa presso altri organismi previsti dal TICO, incluse le negoziazioni paritetiche delle associazioni dei consumatori iscritte nell’elenco degli organismi di conciliazione (ADR) dell’Autorità o presso le Camere di commercio.

L’incontro di conciliazione tramite il Servizio di conciliazione dell’Autorità dell’energia si svolge in modalità telematica mediante l’accesso all’apposita area virtuale riservata, web conference tramite chat, audio, video, o tramite l’utilizzo combinato di tali strumenti. In alternativa, secondo la valutazione del conciliatore e delle parti, l’incontro può svolgersi tramite l’utilizzo di altri mezzi di comunicazione a distanza.

Dal punto di vista procedurale, l’utente in caso di problemi deve inviare il reclamo al fornitore e, nell’ipotesi di risposta parziale o non soddisfacente, entro il termine massimo di un anno dall’invio del reclamo stesso, attivare la procedura di conciliazione.

Nel caso la risposta non arrivi, la domanda di conciliazione può essere presentata dopo 50 giorni sempre dall’invio del reclamo.
Il primo incontro si svolge entro 30 giorni dalla domanda e non prima di 10 giorni dalla relativa comunicazione alle parti. Comunque si considera come “tentativo di conciliazione” il primo incontro davanti al conciliatore, anche se lo stesso si conclude senza accordo o nei casi di mancata comparizione dell’operatore, fermi restando gli eventuali procedimenti sanzionatori nei confronti dello stesso.

Lo svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti giudiziali urgenti e cautelari da parte del giudice a favore dei clienti.
Si tratta, come è evidente, di una nuova condizione di procedibilità della domanda giudiziale che allarga il quadro dei filtri preventivi alla giurisdizione introdotti nella legislazione italiana con una funzione dichiaratamente deflativa, ma che introduce in realtà percorsi conciliativi destinati a conformare l’agire sociale attraverso una rivoluzione culturale che lentamente inizia a permeare sia pur in maniera non univoca le dinamiche della litigiosità (almeno) nella fase pre-giudiziale.

Per dirla con Wilhelm Wundt, si tratta di una vera e propria eterogenesi dei fini (Heterogonie der Zwecke) se si considera che ancora oggi – a distanza di otto anni dalla entrata in vigore della normativa in materia di mediazione delle liti civili e commerciali (la cui obbligatorietà preventiva in talune materie sia pur con alterne vicende è entrata in vigore sin dal marzo 2011) – la rivoluzione mediativa viene per lo più propugnata e utilizzata con dichiarati obiettivi ancillari rispetto al processo ordinario in una logica di scrematura preventiva (mediazione preventiva obbligatoria ex lege) o di decongestione e smaltimento dell’arretrato pendente (mediazione successiva obbligatoria ex officio judicis).

D’altronde la funzione culturale e rieducativa della mediazione rispetto al vivere sociale e alla migliore gestione del conflitto quale crisi della relazione emerge sempre con maggiore evidenza e lascia sempre più in secondo piano strategie proiettate unicamente al processo.
Il percorso è ancora lungo e complesso, ma la mediazione con il suo carico culturale e assiologico scorre come un fiume carsico che si alimenta giorno dopo giorno e si arricchisce, come nel caso delle controversie energetiche, di nuovi strumenti normativi e tecnici utili alla ricerca della più adeguata composizione negoziale.

E la nascita della mediazione costituisce la tappa di approdo e al tempo stesso di partenza di un percorso culturale e normativo europeo destinato ad attuare in chiave evolutiva anche i princìpi fondamentali contenuti nella Carta costituzionale nel quadro di un complesso sistema di fonti qual è quello italo-comunitario.

Facilitare l’accesso alla giustizia e ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali e promuovere la composizione amichevole delle medesime attraverso la mediazione, costituisce il principale obiettivo che con la Direttiva n. 52/2008 il legislatore europeo mira a raggiungere. D’altronde la mediazione e in generale i sistemi alternativi di composizione dei conflitti costituiscono non un semplice bisogno di diversificazione, necessaria a supplire a un apparato giudiziario che non riesce a fronteggiare la crescente domanda di giustizia, ma un’esigenza culturale da percorrere per la sostenibilità del più complesso sistema giustizia.