La conversione del D.L. “semplificazioni”, poche novità e tante occasioni perdute

In materia di appalti, per la fase della progettazione un certo aiuto potrà venire dalle novità in tema di Valutazione d’Impatto Ambientale. Nessun intervento sostanziale, invece, sulla fase esecutiva. Svanisce così l’opportunità di fornire strumenti di legge per sbloccare migliaia di opere, ferme, ad esempio per errori progettuali o ancora perché legate a procedimenti penali scissi dalla correttezza del procedimento di gara

 

Come annunciato, il decreto Semplificazioni (D.L. n. 76/2020) doveva essere la colonna portante di una decisiva riforma di sburocratizzazione e sveltimento della società italiana, favorita, come accade spesso, da avvenimenti straordinari e storici come la pandemia da Covid-19. Sin dai primi annunci, però, si è visto che non era proprio cosi.

Il D.L. 70/2020, nonostante le premesse e i testi circolanti in anteprima, presentava subito perplessità per gli operatori, per i troppi temi trattati, e nessuna riforma strutturale. Peraltro, un linguaggio normativo involuto, con richiami ad altre norme e proroghe, lasciavano subito pensare che si trattasse di una occasione perduta, oltre che di un disegno poco chiaro.

Molti hanno offerto il loro contributo, allora, per migliorare la legge in sede di conversione, finanche Associazioni di categoria e Ordini professionali, ma la fretta, e anche la necessità del Governo di imporre il voto di fiducia, non hanno aiutato in questa opera di miglioramento, che sarebbe stata invece necessaria. Ci troviamo qui, dunque, brevemente ad analizzare la legge che ne è venuta fuori.

Per quanto ci interessa maggiormente, la legge del 14 settembre 2020 n. 120 di conversione ha confermato quanto già disposto dal D.L. 76 cit. in materia di contratti pubblici ed edilizia, dei procedimenti amministrativi, per il sostegno e la diffusione dell’amministrazione digitale nella PA. Ha poi trattato anche di altro, dal Codice della strada alla green economy; dalle disposizioni che concernono le Ferrovie dello Stato alla responsabilità erariale davanti alla Corte dei Conti.

Una legge dunque piena zeppa di argomenti diversi tra loro ed è questo il primo elemento critico non risolto. Vi è poi un’ulteriore riflessione sul piano generale. Si parla di “Semplificazione”, ma essa è del tutto assente, perché la legislazione è rimasta la stessa e non vi è stata alcuna riduzione dell’ammasso legislativo su questi temi, ma semmai interventi “ad hoc” non sempre chirurgici e spesso slegati dal contesto in cui intervengono.

Pare anche questa una lacuna grave perché difficilmente si ritroveranno le medesime condizioni – storiche come detto- per procedere a quelle riforme radicali che erano sul tavolo.

Vi è poi un paradosso. Sotto l’etichetta della “Semplificazione”, sono introdotti sistemi procedurali complessi, che richiedono una pratica operativa notevole. E dunque si chiede all’apparato burocratico di dar sostanza ad alcune innovazioni che non sono chiare, confidando in capacità che l’Amministrazione talvolta -o spesso- non possiede, specie a livello di enti locali.Quanto ai tanti temi trattati, per motivi di spazio della presente rubrica, si segnalano solo alcune delle misure in materia di contratti pubblici. Tra le modifiche al decreto, si evidenzia la proroga del termine, fino al 31 dicembre 2021 (inizialmente previsto al 31 luglio 2021), di utilizzo di due modalità di affidamento dei contratti pubblici:

  • l’affidamento diretto per prestazioni di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 75.000 euro;
  • la procedura negoziata, senza bando, previa consultazione di un numero di operatori variabile sulla base dell’importo complessivo, per tutte le prestazioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria.

Intanto, si tratta di misure parziali (solo per certi importi e per taluni sistemi di aggiudicazione) e temporanee, legate all’emergenza pandemica. Ciò porterà ad avere regimi e scadenze diverse, con inevitabili problemi applicativi delle fasi intertemporali. Nulla o poco si dice, poi, della fase della progettazione e soprattutto di quella esecutiva degli appalti che sono, da sempre, il vero blocco dell’opera pubblica.Se per la fase della progettazione un certo aiuto di semplificazione potrà venire dalle novità in tema di VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale), sulla fase esecutiva non si interviene se non marginalmente. E così si perde l’occasione per fornire strumenti di legge per sbloccare migliaia di opere, ferme, ad esempio per errori progettuali o ancora perché legate a procedimenti penali scissi dalla correttezza del procedimento di gara.La normativa prevede inoltre, fino al 31 dicembre 2021, la obbligatoria costituzione presso ogni stazione appaltante di un cosiddetto “Collegio consultivo tecnico”, per i lavori relativi ad opere pubbliche pari o superiore alle soglie di rilevanza europea. Il Collegio ha funzioni in materia di sospensione dell’esecuzione dell’opera pubblica e di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche che possono insorgere nel corso dell’esecuzione.

Questa è una delle disposizioni a mio avviso più discutibili. É chiaro l’intento di allentare la presa sull’apparato burocratico, attraverso consulenze esterne per sciogliere i nodi più intricati. Di fatto però si introduce una forma nuova e anomala di “arbitrato” nelle opere pubbliche, forma di definizione delle controversie tra stazione appaltante e impresa che era stata eliminata per i costi maggiori che crea e, inutile nasconderlo, episodi di corruzione.É bene precisare che non si parla espressamente di arbitrato, né di forme processuali arbitrali, ma di fatto un Collegio che definisce le controversie ha un indubbio connotato giurisdizionale e solleva anche qualche perplessità sul piano della correttezza costituzionale, almeno su quello del contraddittorio e della terzietà. É previsto, poi, che la proroga della validità dei DURC in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, non sia applicabile quando sia richiesto di produrre il DURC – oppure di dichiararne il possesso o comunque quando sia necessario indicare, dichiarare o autocertificare la regolarità contributiva – ai fini della selezione del contraente o per la stipulazione del contratto relativamente a lavori, servizi o forniture previsti o in qualunque modo disciplinati dal decreto Semplificazioni.

Anche in questo caso si tratta di norme frammentarie, non a regime, e si perde l’occasione di riformare l’istituto.

Argomento questo delle regolarità fiscali e contributive che crea non solo una grande mole di contenziosi, ma che in molti casi è una ingiustizia, con imprese espulse per debiti erariali irrisori. Si lascia ancora alla giurisprudenza, con i suoi limiti oggettivi, di districare leggi frammentate e diverse e non sempre con orientamenti univoci. Insomma, il quadro non appare affatto né migliorato, né tantomeno “semplificato”.