Non solo forma. L’architettura è arte che migliora la qualità della vita. Ne abbiamo parlato con Alessandra Pedone, founder PEDONE & TOMEO
Con una decisa accelerata negli ultimi anni, la sostenibilità è divenuta ormai un elemento imprescindibile nella progettazione. Nei suoi lavori le viene richiesta un’attenzione anche alla circolarità e all’utilizzo di materiali riciclati?
Ci rendiamo conto che da parte dei nostri clienti il tema dell’ecosostenibilità è sempre più sentito e condiviso, perché è il tema dei nostri tempi, ma non sempre riusciamo ad attuarlo e questo per due ragioni sostanziali: la prima è che l’ecosostenibilità ha un costo e non sempre si è disposti ad investire in questa direzione. La seconda è che dipende dal tipo di lavoro che ci viene commissionato. Mi spiego meglio: i progetti di architettura che oggi stiamo portando avanti hanno tutti una forte matrice “green” perché non solo sono finanziati da misure come il famoso Superbonus, ma perché le tecnologie utilizzate contemplano già una riduzione del loro impatto sull’ambiente. Anche nel caso delle progettazioni di interni di carattere residenziale l’approccio è fortemente ecosostenibile e questo si concretizza, non solo nelle soluzioni formali, ma anche nell’accurata scelta degli impianti elettrici e termici o degli infissi esterni, ad esempio, che devono rispondere a precisi requisiti prestazionali, che calcoliamo e progettiamo attentamente. Nel caso invece di interni legati al modo del retail, il problema si sposta sulla necessità di offrire la migliore risposta possibile a temi che sono prettamente di carattere commerciale, alla migliore esposizione del prodotto offerto e sotto il profilo estetico, rappresentare al meglio la vision e l’anima del brand di riferimento.
L’ecosostenibilità è anche un valore estetico, culturale e i nostri progetti cercano sempre di esprimere questa nostra vicinanza e condivisione a questo tema così importante.
Quali sono le sue fonti di ispirazione?
L’Architettura ha un suo linguaggio, come la musica, la poesia e l’arte in generale. Così come bisogna conoscere la musica, la sua metrica, la storia della composizione per non usare note “stonate” all’interno di un’armonia, così bisogna conoscere la storia del linguaggio dell’architettura e della sua composizione per fare una buona architettura. Indubbiamente la storia del design italiano è un riferimento imprescindibile, ma guardiamo sempre con devota ammirazione i classici del Movimento Moderno degli anni venti del secolo scorso o grandi Maestri contemporanei che traggono spunto da quelle lezioni. Non abbiamo un unico riferimento, ma adottiamo soluzioni diverse legate alla tipologia di lavoro che stiamo seguendo e del contesto in cui va calato. La storia dell’architettura quindi ci viene in aiuto in relazione al risultato o appropriatezza del risultato che vogliamo ottenere. Se devo, ad esempio, progettare una casa nel Cilento, forse le torri del vento, tipiche di quel modello costruttivo, possono diventare un meraviglioso esempio cui ispirarsi non solo sotto il profilo estetico/compositivo ma soprattutto di gestione e controllo delle temperature interne.
Nel suo spazio a Battipaglia vita privata e professionale si incontrano, anche perché il suo socio è anche suo marito. Per quali aspetti la diversità di genere è, nel concreto, per lei un fattore di buona riuscita di un progetto?
Fra mio marito e me c’è sempre una dialettica aperta e positiva sui lavori e sui progetti. Siamo entrambi appassionati del nostro lavoro e questo ci aiuta. Abbiamo, e dico per fortuna, visioni diverse e questo è un vantaggio, perché ci porta a vedere sempre le due facce della medaglia. In Architettura non esiste “genere”. C’è solo una buona idea o una pessima, un buon progetto e uno sbagliato. Sono le idee e le intuizioni a fare la differenza.
Dettaglio o visione di insieme?
L’approccio al progetto di architettura è sempre unico e citando una frase di Rogers, va “dal cucchiaio alla città”. Direi che è solo una questione di scala di intervento, perché se disegni un interno, hai bisogno di approfondire e capire come funziona anche il centimetro quadrato di costruito, se devi progettare una villa, la faccenda diventa ancora più complessa. L’Architettura nel momento in cui viene progettata ha sempre un tema, uno scopo ed è quello che non deve essere perso mai di vista.
Esiste, secondo lei, un design buono e, viceversa, uno cattivo?
Il design – che ricerca solo la bellezza superficiale, cosmetica, ma che è incapace di andare oltre – credo sia fine a sé stesso. L’arte in generale ha sempre espresso grandi temi attraverso la bellezza e cerchiamo sempre di capire la ragione profonda per la quale veniamo chiamati, cercando di dare in modo morale ed etico la migliore delle risposte possibili.
Ad occhi aperti: cosa sogna di progettare per il futuro?
Non posso che rispondere come uno dei grandi maestri dell’Architettura, Louis Kahn, cui fu posta la stessa domanda: “Aspetto chi mi dia la possibilità di progettare le piramidi”! Si fa riferimento, non alla grandezza dell’opera, le piramidi, piuttosto a un buon progetto che ha sempre bisogno del suo Faraone o per meglio dire Mecenate. Colui che crede nel bello e nell’architettura come mezzo per rendere migliore la nostra vita e sceglie, quindi, il suo esecutore perché si generi una simbiosi sugli obiettivi che si vogliono raggiungere.