La preoccupazione di porre in essere atti straordinari censurabili da parte dell’Agenzia delle Entrate sta determinando un aumento degli interpelli antielusivi presentati dai contribuenti, molto spesso anche per fattispecie minori.
Questa tendenza è certamente un segnale della crescente diffidenza degli operatori sull’affidabilità di una loro analisi diretta della legislazione tributaria vigente (per ragioni ampiamente note) che sta portando appunto a preferire, prima di compiere operazioni di natura straordinaria, la richiesta di una presa di posizione specifica da parte dell’Agenzia.
L’effetto collaterale di questo nuovo approccio prudenziale, combinato con la decisione da parte dell’Agenzia di darvi pubblicità, è che da un paio di anni si sta formando un robusto massimario della prassi tributaria di indubbia utilità per imprese e professionisti.
Non bisogna però dimenticare che, così operando – nel medio lungo periodo – la valenza del dettato normativo del Legislatore finirà per cedere del tutto il passo alla sua interpretazione da parte dell’Autorità Fiscale (che rimane pur sempre controparte dei contribuenti), creando nei fatti una sorta di impropria common law tributaria di parte.
In questa direzione sembra andare la risposta all’istanza di interpello n. 503 del 28 novembre 2019, in cui è stato chiesto all’Agenzia di confermare l’assenza di intenti elusivi di un’operazione di trasformazione di una società in accomandita semplice in una società a responsabilità limitata (trasformazione progressiva) con successiva cessione di un immobile di proprietà della società trasformata. Le ragioni dell’incertezza dell’istante risiedevano nel fatto che la suddetta vendita, qualora eseguita prima della trasformazione, avrebbe comportato l’assoggettamento della plusvalenza a tassazione progressiva Irpef in capo ai soci, mentre laddove effettuata post trasformazione, la relativa plusvalenza sarebbe tassata ai fini IRES e IRAP per un ammontare inferiore.
La motivazione economica, che conduceva a porre in essere l’operazione, era rappresentata da un progetto di ricambio generazionale tra i soci con possibilità di inserimento dei loro congiunti, che sarebbe stato più agevole in un ambito di società dotata di personalità giuridica, con la conseguente possibilità di decidere più liberamente, in particolare, sulla circolazione delle quote a tutto vantaggio dell’efficacia della gestione aziendale.
Ed in questo disegno, la vendita in tempi brevi a terzi di un immobile rappresentava un tassello fondamentale.
L’aspetto interessante di questo interpello è che l’istante stesso si è premurato di precisare (evento non usuale) che il sopradescritto risparmio fiscale, lungi dall’essere un aspetto secondario, assumeva in realtà un ruolo essenziale nell’intera operazione.
L’intento potenzialmente elusivo, sottostante questa piena disclosure sull’obiettivo concorrente (se non principale) del vantaggio fiscale rispetto a quello del riassetto proprietario, era stato escluso dall’istante, attraverso la dimostrazione che la tassazione per trasparenza della plusvalenza dalla vendita dell’immobile in capo ai soci dell’accomandita semplice, sarebbe inferiore rispetto a quella che si determinerebbe con lo schema della società a responsabilità limitata, laddove tale plusvalenza venisse successivamente distribuita come dividendo ai soci.
L’Agenzia delle Entrate ovviamente ha precisato che l’operazione prospettata aveva come dichiarato fine quello di cedere l’immobile nell’ambito del regime fiscale di una società a responsabilità limitata anziché di una società di persone, allo scopo di fruire della tassazione proporzionale rispetto a quella progressiva in capo ai soci.
Tuttavia, ha ritenuto che detto vantaggio fiscale non fosse indebito, dal momento che non risultava violata alcuna ratio legis impositiva, riguardante le plusvalenze sui beni immobili.
Ciò, in quanto la trasformazione non modifica il regime di tassazione della plusvalenza che, in entrambi gli schemi societari, secondo l’articolo 86, comma 2 TUIR è data dalla differenza tra il corrispettivo (al netto degli oneri accessori di diretta imputazione) e il costo al netto degli ammortamenti dedotti.
Questo appare il punto fondamentale dell’operazione.
In buona sostanza, la cessione dell’immobile non muta le modalità di determinazione della base imponibile su cui calcolare l’imposta, sia che venga effettuata nell’ambito di una società trasparente ai fini fiscali (società di persone) sia che si realizzi in quello di una società opaca (società di capitali).
Quando si verifica questa circostanza, il risparmio d’imposta è scelta non sindacabile in ottica anti-abuso, risultando posta dall’ordinamento tributario su un piano di pari dignità.
L’Agenzia ha però tenuto a precisare che qualora, a seguito della prima trasformazione fosse deliberata la ri-trasformazione da società di capitali a società di persone, si verificherebbe l’indebito risparmio d’imposta, posto che la momentanea trasformazione in società di capitali sarebbe stata meramente strumentale al conseguimento dello stesso.
Il principio generale di questa risposta è che la cessione di beni post trasformazione progressiva non è censurabile per i beni, le cui regole di tassazione rimangono invariate nel passaggio dal reddito di impresa IRPEF alla base imponibile IRES, mentre lo diviene per i beni per i quali, in tale passaggio, le regole cambiano.
A conferma di quanto appena concluso, si rammenta la Risposta n. 185 del 12 giugno 2019 che aveva ad oggetto una trasformazione progressiva seguita da una operazione di conferimento e vendita di una partecipazione, avente i requisiti per l’applicazione della participation exemption che, per effetto della suddetta trasformazione veniva tassata secondo l’articolo 87 TUIR anziché del combinato disposto di cui agli articoli 58, comma 2, e 5, comma 1, del TUIR.
In tale circostanza l’Agenzia aveva dato parere negativo, in quanto la trasformazione era da ritenersi del tutto irrilevante ai fini della vendita della partecipazione, se non nella censurabile conseguenza di determinare un differente modo di tassazione della plusvalenza realizzabile.
In conclusione, l’elusività a fasi alterne della trasformazione teorizzata dall’Agenzia – ovviamente non rinvenibile in alcuna disposizione di legge specifica ma aggrappata alla normativa antiabuso di cui all’art. 10-bis Legge 212/2000 – appare in linea di pura teoria non irragionevole, ma nella sostanza limitativa della libertà d’impresa.
Innanzitutto, perché induce il contribuente prudente a chiedere parere preventivo anche per una mera trasformazione (durata minima 120 giorni).
Inoltre, perché lascia del tutto irrisolto il tema della durata del periodo di censura degli atti compiuti dalla trasformata sui beni acquisiti prima della trasformazione (per sempre?).
Ad esempio, dopo la trasformazione quando può vendersi una partecipazione preposseduta?