L’esigenza di regolamentare l’attività bancaria trova la propria ragion d’essere nell’interesse sociale alla stabilità e all’efficienza del mercato finanziario.
Per rendere conto di tale interesse pubblico occorre evidenziare la funzione economica dell’attività bancaria nonché i possibili effetti di situazioni di crisi.
La banca, insieme ai fondi comuni d’investimento e alle società di gestione di patrimoni mobiliari, costituisce il prototipo dell’investitore delegato, nei confronti del quale il depositante attua un completo trasferimento del rischio connesso alla gestione del proprio risparmio.
La motivazione di tale trasferimento sta nella fiducia che il delegante ripone nella capacità del delegato di selezionare professionalmente le modalità di impiego dei fondi affidatigli.
Il contributo che l’intermediario reca all’efficienza del sistema economico dipende quindi dall’efficienza allocativa, oltre che operativa, dello stesso.
Ma il contributo recato all’efficienza complessiva del sistema sarebbe nullo, o addirittura negativo, se gli intermediari disponessero delle stesse informazioni di cui dispongono tutti gli altri operatori poiché, in questo caso, sarebbe agevole per tutti determinare le iniziative più redditizie (al netto del rischio) e, quindi, immediato e meno costoso effettuare transazioni finanziarie dirette fra gli operatori.
Ma tale ipotesi è lontana dalla realtà soprattutto perché le imprese preferiscono non divulgare informazioni che rendano edotto il mercato circa i loro programmi di investimento e di sviluppo e la loro situazione finanziaria e reddituale. Ciò per evidenti ragioni di competitività e anche al fine di non incentivare tentativi di acquisizione o scalate ostili nei confronti dei proprietari.
Risulta pertanto più conveniente per le imprese comunicare le predette informazioni a intermediari che, nell’ambito di rapporti bilaterali e strettamente confidenziali, ne facciano uso per vagliare i progetti da finanziare e determinare il prezzo delle risorse disponibili.
Le descritte funzioni dell’attività bancaria valgono già a rendere conto dell’interesse pubblico verso l’efficienza degli intermediari. Ma addirittura maggiore è l’interesse verso la stabilità del sistema bancario, considerato che, a livello aggregato, una crisi comporterebbe la diminuzione della quantità di credito disponibile per alimentare il processo di investimento, l’aumento del costo del denaro e il declino dell’attività economica.
Posto quindi che esiste un interesse pubblico verso l’attività bancaria e, in particolare, verso obiettivi di stabilità ed efficienza degli intermediari, vediamo quali sono gli strumenti a disposizione dell’Organo di vigilanza.
Gli strumenti di vigilanza possono essere classificati seguendo lo schema del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia in strumenti di vigilanza informativa, regolamentare e ispettiva.
La vigilanza informativa consiste nei controlli che l’Organo di vigilanza effettua sugli intermediari a livello cartolare, sulla base delle informazioni che gli stessi enti vigilati sono tenuti a trasmettere sulla base degli specifici poteri attribuiti alla Banca d’Italia dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
Il controllo cartolare, per quanto sofisticato, soffre completamente le limitazioni insite in un controllo che per definizione è un “controllo a distanza” ed è basato sulle segnalazioni degli stessi enti controllati.
La rappresentazione generale costantemente aggiornata della situazione aziendale delle imprese bancarie consente di cogliere prontamente aspetti problematici e costituisce il punto di riferimento per le azioni da intraprendere per fronteggiare le anomalie rilevate e quindi per l’esercizio dei poteri di vigilanza regolamentare.
L’Organo di vigilanza, parallelamente appunto allo sviluppo dei controlli cartolari, da tempo ha intrapreso un indirizzo di deregulation, dimensionando l’ampliamento dell’autonomia operativa alla consistenza patrimoniale. In tal modo l’Organo di vigilanza ha inteso incoraggiare il rafforzamento patrimoniale delle istituzioni creditizie. I poteri di vigilanza regolamentare previsti dal Testo Unico consentono ora interventi di vigilanza con modalità e intensità diverse in relazione alla specifica situazione aziendale e al livello di consapevolezza e di affidabilità degli organi gestionali.
L’indagine ispettiva assume soprattutto il significato di strumento per l’eliminazione di qualsiasi diaframma tra la situazione dell’azienda e la rappresentazione che della situazione stessa l’impresa esprime attraverso le informazioni periodicamente trasmesse.
Per quanto riguarda i limiti dell’accertamento ispettivo essi sono sostanzialmente due:
1) la straordinarietà dell’intervento, nel senso che l’intervallo di tempo tra un accertamento e l’altro, per cospicui ed efficienti che siano i mezzi tecnici e umani a disposizione dell’autorità, non possono essere ridotti oltre certi limiti, mentre eventi di grande rilevanza e pericolosità possono maturare proprio in quegli intervalli di tempo;
2) le necessità di indagini a campione. Infatti, è noto che l’apparente semplicità dell’impianto contabile di una impresa creditizia si traduce nella pratica, vuoi per le dimensioni dell’impresa stessa, vuoi per la multiformità del suo operare o per altre cause, in una estrema complessità che comporterebbe, per ottenere risultati attendibili, una dilatazione della durata degli accertamenti che è in pratica inaccettabile.
Per questa ragione la cura degli aspetti organizzativi aziendali e, in ispecie, dei sistemi interni di controllo è stata oggetto, da anni, di particolare attenzione da parte dell’Organo di vigilanza poiché esso deve poter contare sulla loro continuità, efficacia, incisività; in tal senso può dirsi che i controlli interni sono complementari a quelli pubblici: su di essi convergono gli interessi delle autorità di vigilanza e della proprietà per assicurare la stabilità della struttura.