L’arte del cincischiare e le conseguenze catastrofiche

L’importanza e la chiarezza di dire un no al momento giusto

 

Saper rifiutare con cordialità è un’arte. La più difficile nel mondo degli affari. Gli italiani, in modo particolare, preferiscono procrastinare, rimandare inventando faticosissime scuse e invocando prossimi momenti più opportuni. Un secco, deciso, ma giustificato no, è un’ambizione per pochi, concreti, pragmatici rispettosi del tempo altrui.

A me hanno insegnato ad aggiungere il grazie al no. Un “no grazie” risolve tante di quelle cose che nemmeno possiamo immaginare.
Eppure di questi tempi è un’autentica rarità. Negli scaffali più a buon mercato troviamo il telefono che squilla a vuoto, le email senza risposta, le spunte blu senza riscontro, tutto questo per non dire di no, quando di fatto già conosciamo la risposta. E nella cesta delle occasioni più scontate c’è quella del “mi faccio sentire io”, che poi quasi sempre significa sparire per l’eternità.

Perché tutto ciò? Perché siamo diventati piacioni, perché certe canzoni ci hanno insegnato che è meglio una dolce bugia che un’amara verità e perché la schiettezza non porta like.
Conosco gente talmente allenata nell’arte di raccontarle grosse che meriterebbe un cintura nera. E invece, nel mio caso, finisce nel libro nero. Clienti che non vogliono dire che non hanno budget, gente che per tenersi le serate libere da concedere al miglior offerente in termini di flash, tiene in ballo chi fa gli inviti col dovuto preavviso, e altrettanti cincischioni in attesa del tornaconto effettivo, tanto spavaldi nel prender tempo, tanto incapaci di liquidare con eleganza.

Una delle mie due nonne mi ha insegnato da piccolo a rifiutare gentilmente tre volte qualsiasi cosa mi fosse offerta accettando solo dopo numerose insistenze, l’altra, quando rifiutavo la merenda al primo round la metteva via subito, questo mi ha insegnato a comprendere il contesto che la fa sempre da padrone: se volete un consiglio non dite sì quando è già no, ma capite quando è il caso di rifiutare, fornendo sempre un’adeguata motivazione.

Perché peggio di un diniego esiste solo un eterno punto interrogativo e il rispetto del tempo altrui vale molto di più di tanti sì detti a mezza bocca.