Per il Vice Presidente per il Mezzogiorno di Confindustria, Alessandro Laterza, se l’Italia vuole tornare ad essere un grande paese industriale è fondamentale che i quasi 30 miliardi di fondi assegnategli – di cui i 2/3 destinati alle regioni del Sud – contribuiscano al rilancio di una rinnovata politica industriale basata sul manifatturiero, che valorizzi i settori del turismo, dei servizi, della cultura, dell’agroindustria e favorisca il progressivo spostamento delle imprese verso produzioni più efficienti e ad alto valore aggiunto. Dovranno altresì promuovere l’occupazione e la riduzione del cuneo fiscale, nonché rilanciare gli investimenti infrastrutturali attraverso programmi equilibrati tra grandi medie e piccole opere
Presidente Laterza, i fondi strutturali sono ormai da qualche anno un’arma a doppio taglio per il Mezzogiorno: potrebbero essere un volano economico prezioso per avviare nuovi investimenti ma, nei fatti, troppo spesso si traducono in decisioni di spesa inefficaci che hanno fatto rischiare al Sud più volte il disimpegno delle risorse da parte dell’Unione europea. Partiamo dallo stato di attuazione dei fondi strutturali 2007-2013. Qual è il bilancio per il Mezzogiorno?
Più che arma a doppio taglio i fondi strutturali rischiano di essere una straordinaria occasione mancata, in primo luogo a causa del modo distorto con cui sono stati spesso utilizzati.
Per essere efficaci, infatti, le risorse della politica di Coesione europea dovrebbero aggiungersi alla spesa ordinaria, finanziando investimenti per la crescita e il consolidamento strutturale del tessuto socio-economico delle regioni. Purtroppo tali risorse troppo spesso sono andate a sostituirsi alla spesa ordinaria degli enti, vanificando l’occasione di rafforzare i potenziali driver di sviluppo.
In secondo luogo, rischiano di essere un’occasione mancata per i ritardi che continuano a caratterizzarne l’utilizzo.
Il bilancio del ciclo 2007-13 per il Mezzogiorno non può dirsi certo positivo.
Pur con una apprezzabile accelerazione nell’ultimo anno e mezzo, a giugno scorso, cioè a sei mesi dal termine ultimo per impegnare le risorse e a due anni e mezzo dal termine ultimo per effettuare i pagamenti, le regioni meridionali, e le amministrazioni centrali interessate, registrano una spesa media pari a circa il 39% della dotazione complessiva.
É una magra consolazione sapere che anche le regioni settentrionali, pur registrando una media di spesa maggiore (circa il 55%), si attestano ben al di sotto della media europea: non va dimenticato infatti che i programmi operativi del Centro Nord hanno dotazioni finanziarie ridotte e dunque minori sono le risorse da rendicontare.
Per tutto il Paese restano ancora da spendere oltre 28 miliardi entro dicembre 2015, ma il dato maggiormente preoccupante è che per almeno 6.6 miliardi di queste risorse (di cui circa 4.4 destinati alle regioni Obiettivo Convergenza) non sono stati ancora presi impegni giuridicamente vincolanti da parte delle singole amministrazioni, come se, quando ormai il programma volge al termine, ancora non si sapesse cosa fare delle risorse assegnate.
La matrice dell’errore ripetuto dove risiede? Andrebbe potenziata la fase di monitoraggio? C’è ancora tempo per recuperare?
Gli errori che ci hanno portato qui sono molti e le responsabilità diffuse. C’è stato un ritardo iniziale nell’avvio dei programmi aggravato da una scarsa qualità progettuale e da un’estrema frammentazione degli interventi. Dal punto di vista finanziario, poi, le Regioni si sono trovate in difficoltà a spendere a causa degli stretti vincoli del patto di stabilità.
La mancanza di una governance unitaria, capace di correggere i malfunzionamenti dei diversi programmi, è stato uno spiacevole sottofondo per tutto il ciclo di programmazione.
Una situazione estremamente delicata, dunque. Il tempo è sicuramente poco, ma alcune correzioni di rotta sono ancora possibili. É necessario un considerevole sforzo congiunto tra organismi centrali, regionali, parti sociali ed enti attuatori per ridurre al minimo il disimpegno dei fondi, orientando l’ultima riprogrammazione verso misure di rapida attuazione e di alto impatto anti-congiunturale, allo scopo di favorire in tutto il Paese il consolidamento dei timidi segnali di ripresa percepiti negli ultimi mesi.
Confindustria sostiene che è prioritario difendere la base produttiva, anche impiegando in modo pieno ed efficace i fondi strutturali, concentrandoli in particolare su impresa e lavoro. Su quali settori, nello specifico, bisogna mirare l’utilizzo delle risorse?
Soprattutto in questa delicata fase di passaggio, in cui gli effetti della crisi sono ancora pesanti e i segnali di possibile ripresa ancora molto deboli, è fondamentale fare ogni sforzo per sostenere concretamente l’economia.
Per questo, appena dopo la pausa estiva, Confindustria insieme con le tre sigle sindacali – Cgil Csil Uil – ha presentato alle Istituzioni un documento tecnico di proposta sulla necessità di giungere ad un rapido ed efficace utilizzo di tutti i fondi strutturali europei dell’attuale e del futuro ciclo.
Sulla riprogrammazione dei fondi rimanenti per il ciclo 2007-2013 abbiamo proposto di orientare le risorse su quattro ambiti prioritari: credito, investimenti delle imprese, riqualificazione del patrimonio pubblico, promozione dell’occupazione. Queste priorità dovranno caratterizzare anche la fase di avvio del nuovo ciclo 2014-20: il sostegno ad impresa e lavoro dovrà costituire, insomma, un vero e proprio ponte tra la vecchia e la nuova programmazione. In particolare, i quasi 30 miliardi di fondi assegnati all’Italia (cui si sommerà un cofinanziamento nazionale ancora da definire) – di cui i 2/3 destinati alle regioni del Sud – dovranno essere fondamentali per contribuire al rilancio di una rinnovata politica industriale basata sul manifatturiero, che valorizzi i settori del turismo, dei servizi, della cultura, dell’agroindustria e favorisca il progressivo spostamento delle imprese verso produzioni più efficienti e ad alto valore aggiunto. Dovranno altresì promuovere l’occupazione e la riduzione del cuneo fiscale, nonché rilanciare gli investimenti infrastrutturali attraverso programmi equilibrati tra grandi medie e piccole opere. Bisognerà, insomma, concentrare gli impegni finanziari su poche priorità strategiche e decidere se e come vogliamo tornare ad essere un grande paese industriale.
Con il Decreto Legge 101 del 31 agosto 2013 è stata istituita l’Agenzia per la Coesione territoriale, una sorta di task force per rendere più efficace l’uso dei fondi europei. Un primo passo positivo?
Noi abbiamo salutato positivamente questo decreto avendo ravvisato già da tempo la necessità di un rafforzamento della capacità di coordinamento, indirizzo strategico e attuazione degli interventi cofinanziati.
Abbiamo lavorato per allontanare il timore che l’Agenzia potesse finire semplicemente per sostituirsi alle funzioni delle Regioni, ribadendo la necessità di uno strumento utile innanzitutto a rafforzare la capacità istituzionale e organizzativa di tutte le amministrazioni pubbliche, limitando i poteri sostitutivi solo ai casi di vera necessità.
Ci auguriamo che l’Agenzia diventi, in tal modo, una best practice europea, nell’avviare un processo di capacity building che consideri il miglioramento dell’efficienza della PA una vera e propria politica di sviluppo.
Il nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 potrebbe essere l’ultima chance da cogliere: cosa non va assolutamente sbagliato?
I prossimi anni saranno caratterizzati da una contrazione delle risorse per investimenti pubblici e i fondi strutturali potrebbero costituire di gran lunga la principale forma di sostegno alle aree svantaggiate.
Data questa premessa, posso solo dire che nulla va sbagliato! Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una grande apertura da parte delle forze politico-istituzionali verso le proposte delle rappresentanze dell’impresa e del lavoro nel tentativo di “salvare il salvabile” e di impostare su basi efficaci sia la chiusura del vecchio ciclo di programmazione, sia l’avvio del nuovo. Ci auguriamo, e continueremo a lavorare in tal senso, che si affronti il nuovo ciclo di programmazione in un’ottica di sistema, impegnandoci tutti a recuperare efficienza ed efficacia negli interventi e perseguendo, anche in tal modo, un risanamento economico e sociale del Paese.